Lima è uno dei nuovi centri della gastronomia mondiale: Blue ci porta in viaggio al ristorante clandestino di Palmiro Ocampo. Non perdete questa lettura.
Di Blue Gavioli
Chi non ama ciò che è proibito, alzi la mano.
Il proibito ha sempre qualcosa di seducente e allettante. Mia nonna, da piccola, mi vietava di mangiare fichi dall’albero perché doveva farci la marmellata ed io, puntualmente, mi nascondevo, nei pomeriggi d’Agosto, sotto quell’albero a leccarmi le dita dopo aver morso avidamente quei fichi enormi dalla pelle nera. Passavo interi pomeriggi con le mani inzuppate di latte di fico, con l’odore che mi si appiccicava addosso e la lingua bruciata dal sapore dolce e accogliente di quel frutto proibito. Quando mi sedevo sotto quell’albero mi sentivo una clandestina. Quando addentavo un fico, mi sentivo una peccatrice senza desiderio di remissione. Quando penso al massimo peccato, penso sempre a quello di gola, che poi è direttamente collegato a quello di lussuria, e quando penso a qualcosa di clandestino, la mia mente va sempre in direzione cibo, è lì che risiedono le nervature peccaminose per eccellenza, è sul cibo che io riverso i miei massimi pensieri erotici proibiti. A soddisfare il mio desiderio, questa volta è Palmiro Ocampo, giovane chef peruviano (HANASUMI) che aveva già attirato la mia attenzione, durante MISTURA facendomi provare il piatto Neo Caprese, una fusione tra la cultura italiana e quella peruviana in un matrimonio tra mozzarella e tartare di pomodoro con pesto peruviano, maiale arrosto e latte tigre.
Formatosi nelle cucine di Chef pluristellati tra Copenaghen, Parigi, Madrid, Barcellona, Cile, Argentina e Messico è il primo chef peruviano a entrare al Nordic Food Lab. Grazie a suo padre, specialista in piante medicinali, Palmiro è sempre stato in contatto con la natura e con tutto ciò che essa offre. L’osservazione, la ricerca e la creatività l’hanno portato a sperimentare e a sviluppare nuovi concetti culinari, testando nuove strade, per elevare la già straordinaria cucina peruviana. Palmiro non si ferma e questa volta ci conduce per mano nella sua Sesión Clandestina 1087 Bistro.
Immaginate di salire una scala nascosta da una gelateria. In un luogo che sembra abbandonato, un posto che non direste mai possa ospitare un ristorante. Immaginate di entrare e trovarvi un’equipe di quattro persone più lo chef Palmiro Ocampo che sta preparando tutto per il vostro arrivo. Immaginate di sedervi e avere la sensazione di essere in un teatro pirandelliano, con voi all’interno del piatto. Immaginatelo. Bene. Esiste. Ora aprite gli occhi e cominciate a gustare.
Stare al 1087 è come il giorno prima in cui t’innamori. Se qualcuno mi parla del mio futuro amato, io ho la sensazione di amarlo già, perché lo desidero, lo sogno, lo penso, bramo di stare tra le sue braccia. Il corpo che sto per amare, viene delineato, manipolato dall’obiettivo, sottoposto ad una specie di zoomata che lo ravvicina, lo ingrandisce e consente al soggetto di scrutarlo dappresso. La stessa cosa succede con un ristorante clandestino, io me ne innamoro ancor prima di sapere cosa si mangerà, perché a nessuno è dato sapere preventivamente il cibo che cadrà sul piatto, si scopre solo riservando un posto in quell’Olimpo peccaminoso. Solo nel momento in cui si aprirà il sipario, avrai davanti l’oggetto del tuo desiderio: il cibo.
In 1087 si propone in concetto di Bistronomia, dove è il sapore a comandare, dove si flirta (coquetear in spagnolo) amabilmente tra la cucina peruviana classica – contemporanea e la sua interpretazione di tendenza globale. Qui, i piatti peruviani assorbono la socialità e la convivialità del mondo che li circonda, che in questo particolare caso sono gli ospiti (solo 10 a pranzo/cena) che stanno attorno al bancone della cucina. Uno speakeasy a tutti gli effetti. Nel 1087 bistro, il menu presentato, ogni giorno diverso, è sensuale, una cucina della conquista, che assoggetta il palato e seduce i sensi. Nelle sessioni clandestine, i commensali si avvicinano alle menti creatrici (in questo caso, lo chef e la sua batteria) vedono lavorare gli “operai” del gusto, toccano con mano una cucina in cui succedono miracoli e diventano parte integrante del progetto e della tavola di Palmiro Ocampo. Il menù è composto da quattro portate, piccoli passi tra il dolce e il salato in un insieme esplosivo che provoca una eruzione sensoriale nel palato.
Così come per Winnicott sostiene che per indicarti dove sta il tuo desiderio, basta proibirtelo un po’, la struttura della coppia perfetta, in questo caso della cena perfetta, è un po’ di proibizione e molto gioco, designare il desiderio e poi lasciarlo. Allora la cena perfetta è quella clandestina, quella nella quale brami di essere, senza sapere cosa ti aspetterà, non è forse così anche l’amore? Non è forse quella la luce che speriamo di trovare alla fine del tunnel o alla fine delle scale? Chissà.