Se fate la bagna cauda ricordatevi dell’aglio rosso di Nubia, nel trapanese. Ecco perché.
Di Mara Rosso

Cantate inni! Cantate inni! Dopo decenni di grattacapi alle prese con i ‘days after’ di una conviviale bagna cauda eccoci ad un inaspettato giro di boa sulla nostra personale tavola. Per chi non conoscesse la bagna cauda (leggasi salsa calda) diciamo subito che si tratta di un classico del periodo autunno-inverno, in particolare del basso Piemonte, adatto a lunghi pranzi in compagnia quali erano un tempo i pasti durante la vendemmia. Due ingredienti base: acciuga ed aglio. I puristi prevedono pro capite 3-4 filetti di carnose acciughe sotto sale e una testa d’aglio. Ebbene sì, non uno spicchio, non due, ma un’intera famigliola di spicchi (tecnicamente bulbili). Quando entrambi son sciolti nell’olio (qualcuno preferisce far metà olio e metà burro) su fiamma bassa la salsa è pronta. Pronta per essere messa negli appositi contenitori in terracotta con fornelletto (i fujot), dove si mantiene per definizione calda, mentre sfilano sulla tavola vassoi di varie verdure crude o bollite da intingere.

Orbene notoriamente chi si concede anche solo un piccolo assaggio di bagna cauda , viene identificato olfattivamente a distanza fino a 48 ore dopo, per cui è sempre più raro proporre tale piatto. Ma ecco l’inaspettata soluzione, scoperta dalla parte opposta dell’Italia, nel trapanese, e meritevole di essere amplificata alla massima potenza: aglio rosso di Nubia.
La definizione deriva dalla colorazione rosso-porpora delle tuniche dei suoi bulbili. Pare che quantità di allicina contenuta sia maggiore rispetto a quella della media degli altri agli, per cui il sapore nonchè le proprietà benefiche (antisettiche, antipertensive, ipolipemizzanti) è assicurato. In compenso la sua digeribilità è perfetta, per intenderci non solo non vi accorgerete di averlo mangiato, ma nemmeno i vostri interlocutori ne avranno ‘sentore’.

Se passate per Nubia mentre siete a spasso tra le saline della Riserva Naturale Orientata Saline di Trapani e Paceco (WWF) e trovate l’insegna della foto, fermatevi a fare due chiacchiere con la famiglia Barbara che vi racconterà di come, da generazioni, siano dediti alla coltivazione di tale prodotto, dalla semina (spicchio a spicchio, manuale, in filari), alla cura dell’aglio in crescita, fino al raccolto (verso giugno) che, seppure oggi preveda l’ausilio dei trattori, è ancora manuale. Vi racconteranno di come, una volta raccolto, venga diviso in ‘manate‘ lasciate ad essiccare al sole prima di essere intrecciate. C’è di che rimanere affascinati dalle decorazioni e trecce (trizze in dialetto), i cui nomi cambiano a seconda del diametro dei bulbi contenuti, dalle più semplici alle più complesse. Sicuramente non riuscirete ad andare via a mani vuote! 🙂