Bali è famosissima per le sue splendide spiagge e per il suo mare cristallino tutto da scoprire. Ma c’è qualcosa che Anna doveva assolutamente scovare: il Babi Guling.
Di Anna Brambilla

Dopo dieci giorni a Bali avevamo fatto tutto, tutto quello che era umanamente possibile fare in sella ad un motorino scassatissimo che ben si mimetizzava con quelli locali che ai semafori sgasavano come fosse la partenza del Moto Gp.
Solo una cosa mancava all’appello, una piccola, semplice cosa che avrebbe però determinato la riuscita del nostro soggiorno: trovare e mangiare il Babi Guling, conosciuto anche come Balinese Suckling Pig. Questo incredibile piatto della tradizione balinese si può riassumere nel maialino da latte dalla testa ai piedi, ovvero il modo migliore per rendere omaggio a questo nobilissimo animale di cui non si butta via niente, e nel caso specifico niente significa proprio nessuna parte.
Viene preparato solo in determinati giorni, e si può gustare nei warung, baracchini di strada più o meno grandi, a volte attrezzati con tavolini improvvisati, a volte veri e propri minimarket specializzati più nella vendita che nella somministrazione di cibi e bevande.
Come amante del maiale e di tutte le sue frattaglie non ero assolutamente disposta ad abbandonare l’isola senza averlo prima provato. Tornando quindi a Denpasar per uno scalo di quattro ore sulla via per Giava trascino Niccolò alla disperata di ricerca di un babi guling pomeridiano, con quaranta gradi all’ombra e un’umidità che fa gocciolare i banani per strada.
Finalmente dopo lunghe ricerche un’anima pia ci accompagna al warung del cugino, dove ci promette avremmo trovato il miglior maialino dell’isola, mentre l’aspettativa ormai altissima rischiava già di condannarci alla delusione. Notiamo subito svettare l’insegna col disegno di un maialino sullo spiedo, ci sediamo ad un tavolino e chiediamo “il completo”, senza avere propriamente idea di cosa questo comprendesse.
Un tripudio suino inizia ad arrivare.
Maialino da latte massaggiato con un misto di curcuma, cumino e altre spezie, imbottito con un profumatissimo ripieno di verdure, profumi, lemongrass e chissà cosa ancora, fatto cuocere per tre ore e spennellato con una miscela di latte di cocco e aromi finchè la cotenna non diventa rosso fuoco e ben croccante.

E di questo avevamo una vaga idea, quindi arrivano come prima parte del completo la cotenna croccante, la polpa di maialino con stuffing aromatico e riso bianco di accompagnamento. Si susseguono poi le altre preparazioni: spiedini misti di milza e polpa, piedini brasati, ganassino, e infine una zuppa, o meglio, a noi sembrava una semplice zuppa! Ad ogni cucchiaiata ci aspettò invece una sorpresa: animelle, rognone, fegato, tutte le frattaglie e cartilagini possibili e immaginabili! Sul finire non mi sono sentita improvvisamente osservata, non ero pazza, la zuppa mi guardava! Sui bulbi oculari ammetto di aver dato forfait…
Sapori e profumi che ricordo ora come se l’avessi appena gustato: carne che si scioglieva in bocca, cotenna sottile, incredibilmente magra e croccantissima, il forte gusto delle frattaglie mitigato dalle spezie e dalla freschezza della lemongrass. Un vero spettacolo, ogni amante del maiale dovrebbe avere la chance di provare questo piatto!

Felice e soddisfatta tornavo così in aeroporto con l’ennesima conferma sullo street food del Sud Est asiatico: una costante sorpresa di delizie e preparazioni strepitose che riescono a far dimenticare anche il caldo torrido, le mosche, il rischio di svenimento e la conseguente drammatica digestione a quaranta gradi!
Senza dubbio è stato l’omaggio al maiale più entusiasmante e sofferto che abbia mai provato, con l’eccitazione di un bambino a Natale e gli insulti di chi si presta ad assecondarmi!
Grazie babi guling, grazie Bali e god save the suckling pig!