È uno degli aromi più usati ed apprezzati al mondo. Si sposa bene con qualsiasi pietanza e ci regala un sapore assolutamente unico e riconoscibile. E’ l’anice.
Di Giorgia Fieni
L’anice emerge in purezza in liquori (come l’Arak, la Grappa di sambuco, l’Ouzo, il Raki, l’Anisetta, il Sassolino, il Mistrà, il Pastis, il Pernod e l’Anisone triduo), nei cocktails (soprattutto di origini cubane, come il Paloma blanca – con acqua tonica – e il Petalo – con granatino, vino bianco secco e, appunto, petali di rosa -, ma anche semplicemente bollito in acqua, filtrato e servito con miele) e nella varietà di vaniglia tahitensis, coltivato in Papua Nuova Guinea. È inoltre ingrediente fondamentale nell’impreziosire dolci (il torrone, il ciambellone, i biscotti, le torte, le frappe, il Christmas pudding, i macarons), il formaggio (in pietanze come l’Hallaquita e in prodotti come il Conciato di San Vittore), le verdure (come i finocchi – ma facendo attenzione perché entrambi contengono anetolo, capace di irritare le mucose ed avere effetti narcotici – e la melanzana a cubetti e con la buccia – saltano insieme in padella con sale e olio), la carne (maiale, anatra, fagiano, gallo e gallina, tartaruga, manzo, la selvaggina, ma anche coppa, biroldo, mortadella e pure i pipistrelli delle Seychelles!), le zuppe (per Ferran Adrià è aroma fondamentale per quella di pesce), la frutta (fichi, pesche, pere e pompelmo – che Gordon Ramsay cuoce con anice verde e anice stellato, congela e serve con lamponi e champagne…idea da copiare per una cena romantica!) e le bevande (come l’idromele e il vin brulé, ma anche il caffè, se l’anice è messo nella moka insieme all’acqua). Stessa funzione svolge se abbinato con il pesce (il baccalà – con uva rossa caramellata nel burro, lemongrass, cannella e melagrana -, le ostriche – ripiene di cicorione, pane secco, liquore d’anice e passate in forno -, i gamberi, l’anguilla, il pesce spada e il salmone) e le uova (prima sodate, poi rotolate a formare delle piccole crepes e cotte nel tè con cannella, anice stellato, salsa di soia e zucchero finché il guscio assume un colore marroncino, e infine sgusciate e servite fredde con altra soia).
Lo amano molto anche chef ed esperti del settore. A Identità Golose 2011 Inaki Aizpitarte lo ha usato come becchime da servire accanto al pollo cotto 2′ dalla parte della pelle e crudo dall’altra. Moreno Cedroni lo ha mescolato (nel menu Figli dei fiori offerto al Clandestino nel 2009) a pesce (ricciola, baccalà, capesante) e petali ed essenze di viola, lavanda, orchidea, camomilla, rosa bianca, glicine. Damiano Nigro così si è espresso nel 2010: Stiamo mettendo a punto una vaporiera che sprigioni vapori aromatizzati per la cottura: stiamo provando con l’anice stellato per i ravioli d’anatra. Emiliano Pascucci (della brigata di Heinz Beck) usa la stessa varietà sia per la brunoise di finocchio che per il sorbetto alla sambuca, che serve con capesante (marinate in acqua di caffè in frigorifero e scaldate leggermente in forno), chips di riso al caffè e fiori eduli. Igles Corelli infine lo usa con infuso di caffè per arricchire il fondo dove ha cotto cosce di faraona farcite con un trito di prosciutto crudo, mortadella, salsiccia e gherigli di noce.
Questo prodotto non è comunque un’invenzione moderna: nel Medioevo i semi d’anice erano canditi e confettati, serviti come dessert, al tempo dei Romani erano parte del “vinum hippocraticum” e al tempo degli Egizi erano un saporito condimento. L’unica domanda che tutti i cuochi, ora come allora, si sono posti di fronte a tanti abbinamenti, è quale specie utilizzare. Perché in realtà ne esistono tre varietà: l’anice verde, appartenente alla famiglia delle Apiaceae (pianta alta sui 60cm, fiori bianco-gialli, semi ovali, il cui aroma ricorda quello del finocchio), l’anice pepato, della famiglia delle Rutaceae, e il più famoso, l’anice stellato, appartenente alla famiglia delle Iliaceae (deve il nome alla forma degli occhielli dei suoi frutti). Quest’ultimo ha un sapore talmente preponderante al punto di essere usato anche per aromatizzare lo zucchero: basta lasciarli a contatto 10-15 giorni e poi toglierlo per ottenere un prodotto in grado di dare un accento più particolare a tè, tisane, frullati, frappè e smoothie. Quello selvatico è capace di diventare condimento per panzerotti di patate ripieni di caciocavallo, basilico e rucola (anch’essa selvatica) perché il suo gusto si va a fondere con quello del parmigiano stravecchio (36 mesi) con cui saranno cosparsi. Il pepato, infine, è parte integrante della famosa miscela di 5 spezie cinese (con cannella, pepe di Sichuan, chiodi di garofano e finocchio). E voi quale scegliete? Ma soprattutto, come lo cucinate?