Terza e penultima parte del viaggio di Elena a Cuba. Chicharritas e canchanchara per arrivare a Guantànamo.
Di Elena Ogliari

Le acque cristalline di Playa Giron sono un già un ricordo, ma il viaggio deve continuare. Passiamo per Cienfuegos, ferma nel tempo tra carri trainati da cavalli e il profumo retrò di un passato francese che aleggia nella piazza. Splendido il Centro Culturale, cuore architettonico che ospita attività ricreative quali musica e danza. Già la danza..la musica qui è la colonna sonora della vita, un aroma che aleggia costantemente nell’aria, una Dea che alleggerisce i pensieri e rallegra il tempo che a volte sembra non passare mai. Tra il dòmino e la coppia rhum&sigaro credo sia il passatempo preferito, e vederla ballare ti fa chiedere perché la salsa non possa rientrare tra le discipline olimpiche, ovviamente nella categoria resistenza estrema.
Poco distante lungo la costa spunta Trinidad, la “città museo” immune alle rovine del tempo dove i colori sono vivi come la gente che balla ogni sera sulla Scalinata, un’onda umana vista da lontano che si muove a ritmo di salsa. Quando arriviamo ormai è sera inoltrata, le strade non si vedono e solo la luna e i fari del nostro fedele pulmino illuminano un esercito di granchi di ogni dimensione che invade la strada come in un film di Hitchcock. Inneschiamo la guida sportiva come tra decine di birilli, ma è davvero impossibile evitarli tutti! Ceniamo nella “capolfila”, la casa particular che organizza e gestisce tutte le altre. La fame ci fa assaltare la tavola imbandita di frutti tropicali, chicharritas, pollo sfilacciato al cumino, gamberetti, riso e fagioli neri, patate dolci e tutta la sinfonia di sapori che ci accompagna da quando siamo approdati su quest’immensa isola. Finiamo la cena con un buon caffè e una tazza di terracotta colma di canchanchara, la bevanda tipica di Trinidad composta da rhum, miele, acqua e limone..perchè come diceva Shakespeare, una tazzina di rum è un cibo da re, anche se non sono sicura parlasse proprio del rum..

La mattina la sveglia è presto, come sempre richiede la scoperta, e riusciamo a passare un paio d’ore a Playa Ancòn, ma la fame atavica di mare non è soddisfatta da una spiaggia che forse gode di troppa nomea o forse è capitata semplicemente nel giorno sbagliato. Certo è che la voglia di mare aumenta e cominciamo a sognare sempre di più di sdraiarci su quella spiaggia da cartolina dove i compagni di giochi sono unicamente le palme e la sabbia di farina.
La strada da percorrere si snoda nella Valle de los Ingenios, tra le immense piantagioni di canna da zucchero che regalano ogni sfumatura di verde. La Torre Manaca Iznaga si innalza nel mezzo della coltivazione come un Grande Fratello che tutto vede e tutto può per controllare che gli schiavi di un tempo non scappassero dalle proprietà.

Camaguey è un acquazzone che ci sorprende e il sole che si riflette nelle pozzanghere davanti a Nuestra Senora del Carmen, è una gara di bici-taxi tra 16 moderni pirati e un dedalo di vicoli e piazzette che un tempo i pirati li volevano disperdere.

La storia ci richiama all’ordine, prossima tappa escursione nella Sierra Maestra fino alla Commandaria, quartier generale di Fidel e Che Guevara durante la Revolucion. Tra una candida mariposa e le piccole piante carnivore che si chiudono al tocco, ci godiamo (un po’ a fatica) la fierezza di queste montagne. La sera precedente era stata una gran festa dove il nulla ci è bastato per fare tutto e le risate sono andate avanti rumorose fino a tarda notte. Flashback. Avevamo affrontato kilometri di curve vista foresta fino a fermarci a bordo strada per rifornirci di cioccolato di Baracoa e cucuruchu, foglie di palma confezionate perfettamente a cono per contenere una pasta di cocco, zucchero, guava, ananas e un po’ di cacao. Energia pura e glicemia alle stelle. Pernottiamo a Bartolome Maso nel posto più squallido della vacanza e per noi più isolato di tutta Cuba: un pugno di bungalow nella foresta collegati con il lontano mondo da una strada sterrata, a volte interrotta da gruppetti di piccoli edifici più vicini a baracche che a case. La cena viene ricordata sia per la tripletta di puerco (arrosto, alla griglia e al sugo..con scarpetta) che per il gruppo di musicisti che ci ha accompagnato fino a notte inoltrata, brindisi compresi. Tra la ricerca delle stelle di San Lorenzo e le danze brutalmente improvvisate, è scoppiata la vera fiesta. Da ricordare solo con grandi sorrisi.

Passiamo purtroppo veloci Santiago de Cuba, celebre per il rhum e per la vivacità culturale da cui è nato il son, un genere di salsa tipica di questa zona da cui derivano i moderni balli caraibici. Chissà invece quale miracolo ha disegnato occhi azzurri su pelle così scura, qui dicono sia normale incontrare questo prodigio della genetica, eppure per me è una sorpresa ogni volta. La Revolucion ci segue e, tra i cartelli di propaganda che inneggiano alla lotta, ci guida alla Caserma Moncada, simbolo della lotta armata e al Castello di San Pedro de la Roca, un susseguirsi di terrazzi a strapiombo simbolo della difesa dai pirati.

È passata una settimana, di già, il giro di boa sarà a Guantanamo città che cerca di scrollarsi dalle spalle il peso della storia e della politica, le pesanti accuse di tortura e la speranza di una vicina chiusura. Della base militare non si vede nulla, non si capisce nemmeno dove sia, ma l’aria qui sembra stranamente pesante.