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Honest Cooking

Daniele De Michele, ovvero Donpasta

Elisabetta ha intervistato Donpasta: musica e cibo come “gesti d’amore” … E non solo.
Di Elisabetta Palumbo

Dj, cuoco (eco)sostenibile, economista, scrittore. Molte altre possono essere le definizioni per Daniele De Michele, alias Donpasta. Dal Salento alla Francia, passando da Roma, Milano e chissà dove altro, mixa linguaggi, cibi e sound per raccontare la nostra società attraverso ricette e musica. L’ultimo libro pubblicato è “La parmigiana e la rivoluzione”, prima ci sono stati ”Wine sound system” e “Food sound system”, molte le date degli spettacoli che lo vedono protagonista. Disponibile a rispondere a delle semplici domande, non chiedetegli però di rinunciare alla sua collezione di vinili o alla conserva di pomodoro di sua nonna…

Domanda: Quando e da chi hai imparato a cucinare?
Risposta: Ho imparato a cucinare tardi, durante gli anni di studio. Vivendo a Roma e Parigi mi mancavano i sapori della cucina familiare e mi mancava la ritualità del preparare e del mangiare in compagnia. Così, andando a memoria, ho piano piano ritrovato quel senso di serenità e di festa che si vive in ogni cucina domenicale.

D: Com’è nato Donpasta?
R: Donpasta è un nome buffo che mi diedero degli amici senegalesi al bar jungle montmartre a Parigi. Io mettevo vinili e cucinavo pasta per loro. In cambio loro mi offrirono questo nome. Era divertente, me lo tenni in ricordo di quel periodo meraviglioso

D: Musica e cibo. Qual’è il minimo comune denominatore? E il massimo?
R: Musica e cibo sono entrambi gli strumenti più umani, accessibili, universali per offrire qualcosa di bello alle persone care. Sono gesti d’amore, servono per proteggersi e proteggere.

D: Un gusto dell’infanzia e un gusto dell’età adulta.
R: Il gusto dell’infanzia sono le giuggiole. Salire sugli alberi nelle campagne a rischio di essere fucilati a salve dal contadino e fare scorpacciate di giuggiole, ma anche di gelsi mori, di melograni e fichi. Un gusto maturo, per me rivoluzionario, è l’equilibrio di sapori, spezie e cottura nei tajine marocchini. Stufati tra l’acre e il dolce in un equilibrio perfetto. Non a caso, la cucina siciliana, la mia preferita in Italia, è profondamente debitrice nei confronti della cucina del maghreb.

D: Cosa cucineresti per François Hollande e Ségolène Royal? Stessa domanda per un incontro a tavola fra Silvio Berlusconi e Veronica Lario.
R: A François Hollande e Ségolène Royal? Non saprei, un piatto da poveri. Frittata di pasta. Che si ricordino che il socialismo nasce dall’urgenze di tutelare i più deboli, di accorgersi dei loro bisogni, di emanciparli dalla povertà. A Berlusconi darei polpette dell’IKEA, quelle con tracce fecali dentro. A Veronica consiglierei di dare parte dei suoi soldi a chi organizza le mense per i poveri: a lei non mancherà mai il modo di trovare un’aragosta e un po’ di caviale.

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Dar Cordaro – Roma »

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