Quando un ricordo si fa sidro ed i nostri tornano sulle tracce di una frasca tra i campi a due passi dal Danubio. Rossella in un vero e proprio racconto Danubiano.
Di Rossella Di Bidino

Non ci credevo. Non poteva esserci ancora.
Vienna si avvicinava, Greifenstein ancor di più.
Il sole alto nel cielo giustificava le speranze, ma ero scettica. Contavo mentalmente i chilometri alla meta, mentre prestavo meno attenzione a quanti ci separassero dalla tanto declamata frasca.
“Dai, dai manca poco.”
Io silenziosa pedalavo. Abbandonata la riva del Danubio dopo aver superato l’unica centrale nucleare costruita e mai utilizzata in Austria, preferivo pensare all’ironia della sorte. Ora quella centrale è attorniata da pannelli solari. Ma lui continuava.
“Dai, dai manca poco.”
Temevo la sua delusione. Le persone crescono, ma il taglio emotivo di una delusione si sente sempre. Forse non si pestano i piedi per terra, ma ci rimane male. Non sapevo come tirargli su il morale, non volevo pedalare con un musone accanto.
“Dai, dai manca poco. Ora viene il tratto tra i campi. Me lo ricordo assolato, ma ci sarà lei tra poco.”
Come può una frasca tra i campi alimentare tante speranze?
Era successo per caso un paio di anni prima. Sempre estate, sempre vacanca in bicicletta tra Passau e Vienna. Quasi habitué della tratta eravamo in direzione Tulln. Partiti da Krems con poche forze, la pedalata ci aveva rianimato. Tra un campo superato e l’altro ecco la sorpresa. Nel granoturco spunta una scritta: “MOST“.
Volevo fermarmi, voleva fermarsi.
“Che ne dici se…”
“Sì, voglio anch’io il Most.”
Ma chi garantiva che un lunedì di agosto del 2012 ci fosse ancora quella sorta di frasca? Una casetta di legno tra i campi. Offriva sidro (Most), dell’ombra e una sorta di krapfen senza ripieno. Brindammo due anni prima, felici anche se al solea a causa della folla di altri pedalatori.
“Dai, dai manca poco.”
Insisteva. Oramai, come si dice in gergo automobilistico, eravamo all’ultima curva. Un cartello indicava tra 300 metri, dopo che uno prima suggeriva 2 km. Ma chi ci diceva che per cartello era per la nostra frasca?
Ero scettica.
Vidi l’ultimo cartello. Nella stessa posizione da due anni.
Nessuna delusione.
Già accostati al lato della pista. La frasca era tutta per noi. I polli si fermavano prima, al bar dell’ex centrale atomica, o puntavano a Tulln, città natale di Egon Schiele. Che polli 🙂

Ordinammo: “Most”.
“Mit oder ohne Alkohol?”
“Mit”
“Mit wasser…”
“Für mich mit” dissi io.
“Für mich Nein” disse lui.
L’unico altro avventore, vestito da ciclista, sorrise. Non sapemmo mai se per il fatto che io, la ragazza, volevo del Most gespritz, come dicono loro, o se perché volevamo del Most vero, alcolico. Io e la mia Cavia abbiamo infatto dato versioni diversi alla cosa.
Come però si dice dopo il sidro, l’importante era bere e festeggiare.
Quel sidro è fatto di mela, poco gassato rispetto ad altri. Limpido. Quel che la Cavia ha descritto come “bello cafone”, perché dal sapore deciso, per me era equilibrato. Sarà che la mia minore riservatezza tende ad apprezzare i sapori netti e non diplomatici. Ma in entrambe le interpreazioni, deciso o cafone, era buono.
Il carattere alcolico col sidro non si sente subito. Si maschera col lontano sentore di mela. Non sa assolutamente di succo di mela, se è questo è il sospetto che ti sorge.

Questo sidro danubiano era ben lontano dal sidro francese di qualche post fa. Forse meno raffinato. Si sa, teutonici e francesi rappresentano due volti diversi della vita. Ma qui, anzi là, non eravamo a decidere cosa fosse giusto o sbagliato. Festeggiavamo, ricordavamo, assoporavamo. E tutto pareva bello, buono e giusto. Chissà se saper vivere alla fine sarà questo!
Spero proprio di sì. Buon Most!