Pornografia del cibo, food porn … E poi la differenza netta tra pornografia ed erotismo. Ce ne parla Margo.
Di Margo Schachter
Pornografia: raffigurazione, rappresentazione o descrizione esplicita e caricata di immagini o temi sessuali (Sabatini Coletti). Il food porn è esattamente questo, la descrizione esplicita e spesso mercificata della cucina, prevalentemente attraverso la fotografia professionale o come rito amatoriale da social network. Il cibo e la gastronomia sono ora l’argomento più popolare e ovunque liberalizzato, praticato e ora ostentato, quanto il sesso, reale o virtuale. E la deriva è pornografia.
Nessuno snobbismo, nel settore ci lavoro da anni e forse è per questo che rimpiango i tempi, recenti eppur lontanissimi, dell’erotismo gastronomico e del “prurito” che mi ha fatto arrivare sin qui.
La differenza fra pornografia ed erotismo? Sarebbe come paragonare un filmino amatoriale con idraulici e mammine con un capolavoro carico di sesso e critica sociale di Russ Meyer o le avventure della Emanuelle di Joe d’Amato. Come confondere il silicone di Cicciolina con la sensualità ambigua e acerba di Charlotte Rampling ne Il portiere di notte. Come pensare che John Holmes possa essere paragonato dal nostrano Rocco Siffredi. Due calibri.

Quando Martha Stewart mostra i suoi hamburger che eruttano salse, carne succosa e pane croccante, è arte. Arte della fotografia e arte in cucina, come il connubio fra il regista e la sua musa. Quando Donna Hay fotografa biscotti spezzati che sembrano essere stati morsi un attimo prima, e gocce di cioccolato che scivolano lungo del soffice pan di Spagna, fino a inzupparlo leggermente, è come guardare l’Impero dei sensi e aspettare trepidanti il momento del primo sfiorarsi.
Quando io faccio la foto con Instagram alla mia cena giro un filmetto amatoriale, di quelli in cui sullo sfondo si rivela tutta la tristezza di un set improvvisato, dello stendibiancheria, di lui con i calzini, della quotidianità di una provincia qualunque e di una casalinga di Voghera qualunque. È un gioco privato, di chi compiace se stesso nel farsi osservare, tanto quando io compiaccio il mio esibizionismo gastronomico con la mia cerchia di “seguaci”. Esibizionismo del mostrare, voyeurismo del guardare. Divertente e pruriginoso, ma raramente un prodotto della settima arte o degno di Petrina Tinslay.
La food photography è nata dalla ricerca dei fotografi di voler mostrare l’estetica, descrivere obiettivamente una ricetta, la sua presentazione, illustrarne gli ingredienti in una missione quasi didascalica. Si fotografavano le cornucopie di canapè, i tapioca di tartine gelatinose, le geometrie dei mosaici di sottaceti e gamberetti.
C’è voluto del tempo perché anche la fotografia di food passasse dall’essere una documentaristica descrizione della realtà, ad arte con un significato proprio. All’essere creazione, non copia e al voler trasmettere il messaggio, il profumo, il sapore, le sensazioni più coinvolgenti di un piatto…. racchiuse in una glassa al cioccolato in cui affondare un cucchiaio e a pomodori polposi verso cui allungare la mano, sexy come glutei tondi e sodi.
Ora è tutto un mostrare la materia, abbassare la macchina, avvicinarsi fino a svelare ogni dettaglio per non lasciare nulla all’immaginazione, al set, alle luci, all’atmosfera e alla cura dei particolari dell’inquadratura. Tutto si concentra sulla soddisfazione di un unico senso, edonismo puro. Senza preliminari, senza veli, con un occhio insistente, subito e tutto, ecco cos’è troppo spesso la fotografia di food. Pornografica.
Ed ecco perché rimpiango l’erotismo, che lascia il tempo allo spettatore di immedesimarsi, di sognare, di assaporare il momento del primo boccone. Ecco perché apprezzo i fotografi che regalano un meraviglioso food (soft) porn, quelli che sanno trasportarti in una dimensione di piccoli pruriti (di gola), che ti ammaliano, ti solleticano tanto da volerli sperimentare – come un bel film erotico, più bello da guardare in due…