Guida approfondita alla scelta delle farine per panificazione

Parliamo di farina, non solo di pane. Un completo, puntuale ed esauriente approfondimento di Alessandra sull’argomento.
Di Alessandra Carracher

Fare il pane in casa è diventato ‘trendy’, si sa. E volendo, con l’ausilio di macchine del pane e farine premiscelate, è ormai alla portata di chiunque.

Siamo però in tanti quelli che – vuoi per purismo, o per snobbismo da pseudo-gourmet, o per più semplice desiderio di sperimentare, se non per necessità vera legata alle dilaganti e variegate forme di intolleranza alimentare – un po’ per volta stiamo imparando a trattare questo alimento base con tutto il rispetto che si merita. E quindi studiamo, ricerchiamo, facciamo tentativi, sperimentiamo nuove miscele di farine, alleviamo e manteniamo il nostro lievito madre neanche si trattasse del cucciolo di famiglia. Tanto più che il rito dell’impasto e della lievitazione, seguiti da quei magici profumi che dal forno si sprigionano per tutta la casa, offrono un appagamento completo dei sensi e una sensazione quasi di privilegio: ad altri lasciamo quel pane industriale privo di mordente e gusto la cui freschezza dura un battito di ciglia, noi ci cibiamo di pane ‘vero’!

Confesso che per molte ragioni io sono una panificatrice erratica. La mia giustificazione principale è che siamo troppo pochi in famiglia per supportare la regolarità di produzione che un buon panificatore dovrebbe mantenere, particolarmente se utilizza prevalentemente il lievito madre. Passo quindi periodi in cui sforno pagnotte a tutto spiano (spesso regalandone buona parte agli amici), seguiti da altri in cui sospendo quasi completamente questa attività che pur mi da così tante soddisfazioni.

Sono anche per natura, e ancora di più in cucina, una sperimentatrice empirica. Per cui, si che leggo e mi informo su metodi e ricette, ma molto spesso mi lascio comunque guidare dall’istinto, miscelando ingredienti ad occhio e inventandomi nuove combinazioni a seconda di quanto trovo in dispensa. Ecco che nascono pani con miscele di farine e addizioni di semi, di frutta secca, a volte di verdure o altro, che si rivelano immancabilmente degli irreplicabili terni al lotto, sia che ne esca un successo tanto quanto un disastro.

Ma oltre e al di là di un’attitudine personale, sono sempre più convinta che questo sia dovuto in buona parte alla scarsa informazione che circola sulle diverse caratteristiche delle farine, complice anche la cattiva abitudine tutta Italiana di commercializzarle principalmente solo per macro categorie: farine tenere e farine dure, 0 e 00. Peccato che poi uno si ritrovi spesso ad avere a che fare con ricette che parlano di ‘forza’ (W) della farina oppure che utilizzano la classificazione francese o tedesca che misura la quantità di ‘ceneri’, o sali minerali, presenti nella farina.

Mi sono decisa perciò a fare un po’ di ordine in merito, in primis nella mia testa, concentrandomi tanto per iniziare sulle farine di frumento. E considerando che ben sappiamo che i buoni risultati in cucina derivano in buona parte dalle materie prime che si utilizzano, ho pensato di condividere i risultati di questa mia piccola ‘inchiesta’ con voi.

Le farine di frumento sono per lo più distinte per il grado di abburattamento, ovvero di setacciatura del macinato e di separazione della parte nobile del grano dalla crusca. Le farine di tipo 00, tipo 0, tipo 1, tipo 2, e integrale, in questo ordine, contengono progressivamente un quantitativo di crusca maggiore; quindi la 00 è la più raffinata, mentre la 2 è la più vicina all’integrale che contiene invece tutte le parti del chicco. Le farine con l’indice di abburrattamento più basso, per intendersi la 00 e la 0, oltre ad essere le più fini e bianche, provengono dalla parte più interna del chicco, sono più ricche di amido ma povere di fibre, proteine, vitamine, grassi ed enzimi, favoriscono però la riproduzione del dei lieviti e lo sviluppo del glutine.

Impiegare una tipologia più o meno raffinata non cambia la destinazione duso, bensì unicamente il profilo organolettico e laspetto finale (le farine meno raffinate tendono a lievitare meno ma ad essere più gustose di quelle più raffinate).

Cambia invece molto il risultato finale se viene usata una farina più o meno ‘forte’. Le prime resistono bene a lievitazioni molto lunghe e a stress meccanici prolungati, mentre le seconde non hanno questa capacità e sono quindi più indicate per i prodotti che richiedono lievitazioni brevi, oppure per i dolci dove si desidera ottenere una pronunciata friabilità, come pasta frolla, pan di spagna, etc.

La “forza” della farina è indicata dal parametro W e rappresenta appunto la capacità di resistere alle lunghe lievitazioni, agli stress meccanici durante l’impasto e all’indebolimento a cui i grassi e gli zuccheri (es. panettone, colomba, brioches) sottopongono il glutine.

Il rapporto tra la tenacità e lelasticità dellimpasto è indicato dal parametro P/L.. La tenacità (P) è la forza necessaria per allungare l’impasto mentre l’estensibilità (L) e la capacità di allungarsi senza rompersi. Per intendersi, un farina ottimale dovrebbe avere un rapporto P/L di 0,55 circa. Valori inferiori ( < P e/o > L) indicano una farina che genererà un impasto fragile e poco estensibile, mentre valori superiori (> P e/o < L) rappresentano una farina che genererà un’ impasto molto tenace e duro (difficile da allungare).

Rappresentazione grafica della forza delle farine (immagine dal web)

Altri parametri di classificazione delle farine meno conosciuti:

Lindice di caduta. Dato che il lievito si alimenta unicamente di zucchero semplice (glucosio), non è in grado, senza un piccolo “aiutino”, di prelevarlo dall’amido (l’amido è una “sostanza” composta da tante molecole di glucosio legate insieme). L’aiutino viene dato dall’alfa amilasi, un enzima che provvede a scomporre (scindere) l’amido nelle sue molecole più semplici per renderlo disponibile al lievito. Questo enzima può essere più o meno attivo. Mentre un’eccessiva “vitalità” genera un’ impasto colloso e poco panificabile, l’opposto genera un’ impasto tenace e anch’esso, poco panificabile. L’indice di caduta indicata la “vitalità” di questi enzimi.

Lassorbimento. L’assorbimento è sicuramente il più intuitivo. Infatti, come dice la parola, è la capacità di assorbire l’acqua che una determinata farina possiede. Da cosa dipende ? Dalla quantità di amidi rotti: durante la macinazione, i rulli o le pietre (dipende dal tipo di mulino), frantumando il chicco “danneggiano” i granuli d’amido. Si noti che la parola “danneggiano” non è da associare ad un’ evento negativo. Infatti, solo ed esclusivamente questi “amidi rotti” sono disponibili al lievito e hanno la capacità di assorbire l’acqua. Quindi più amidi rotti, maggiore l’assorbimento. Ovviamente, com’è intuibile, la farina più fine avrà più amidi rotti.

Lo Zeleny (indice di sedimentazione). E’ il valore che determina la qualità del glutine.

La stabilità. Si definisce con la stabilità, ovvero il tempo che resiste l’impasto, confezionato con acqua e farina, agli stress meccanici senza denaturarsi. Questo valore è prevalentemente legato alla forza della farina, la Manitoba ad esempio può aver una stabilità di 18-22 min., mentre una farina di farro tipo “0” 4 minuti. Si tratta di valori importanti da conoscere per ottenere un impasto adeguatamente lievitato.

Contenuto proteico. Solitamente un contenuto proteico elevato è indice di forza, infatti la Manitoba è altamente proteica. Farine con un elevato contenuto di proteine sono più pregiate (e costose), tuttavia non sempre un contenuto elevato delle stesse è sinonimo di forza: ci sono proteine che formano glutine migliore e altre peggiore.

Ceneri. Determina la quantità di ceneri (sali minerali) nella farina.

Qui è interessante aprire una parentesi perché proprio la quantità di ceneri rappresenta il criterio di classificazione delle farine in Francia e Germania. E’ possibile e abbastanza semplice una comparazione tra questo indice ed il grado di raffinamento delle farine (abburrattamento) utilizzato da noi. La tabella comparativa tra i due indici che inserisco qui è utile per tradurre le indicazioni di ricette che riportino gli indici francesi e tedeschi.

Italia

Francia

Germania

Tipo “00”

Tipo 45

Tipo 405

Tipo “0”

Tipo 55

Tipo 550

Integrale

Tipo 150

Tipo 1600

Umidità. Mediamente è al 15% ma può oscillare fino al 15,5% purché venga dichiarato in etichetta.

Granulometria. Determina la misura delle particelle di farina. Solitamente le farine di forza hanno una granulometria maggiore, caratteristica che dovrebbe determinare un assorbimento di acqua inferiore. In realtà la maggior presenza di proteine compensa abbondantemente e addirittura richiede più acqua. E’ il caso anche delle farine di grano duro.

Breve guida all’utilizzo in panificazione delle farine di frumento

Indice W

Indice P/L

Forza

Utilizzo

< 120

indifferente

debole

Non panificabili, farine per biscotti.

120 < 160

0,40 < 0,70

debole

Poco panificabile – da miscelare con farine più forti.

160 < 250

0,40 < 0,60

media

Equilibrate e con ottime attitudini panificatorie.

160 < 250

0,40

media

Eccessivamente estensibili, da utilizzare solo in miscela.

165 < 250

0,70

media

Eccessivamente tenaci, da utilizzare solo in miscela.

> 250

0,70

forte

per lunghe lievitazioni o da impiegare solo in miscela con farine deboli.

Farine di grano tenero e farine di grano duro.

Il grano tenero (triticum aestivum), conosciuto anche con il nome di frumento comune, è caratterizzato da chicchi friabili che al lor interno conservano uno strato bianco e farinoso. Il grano duro (triticum durum) è una differente specie di frumento coltivato principalmente nell’Italia meridionale, dalla cui macinazione si ricava uno sfarinato ambrato granuloso, conosciuto con il nome di semola, che viene utilizzato maggiormente per la produzione della pasta secca.

Rimacinando la semola una seconda volta si ottiene la semola rimacinata, chiamata anche farina di grano duro, che viene impiegata per la produzione del pane casereccio, tipico delle regioni dell’Italia meridionale.

I valori di forza tipici della farina di grano duro sono i seguenti: W 204, P/L 1,90. Forma quindi un glutine corto e molto tenace, e se ne possono migliorare le caratteristiche di panificazione miscelandola con farine di grano tenero.

Un’ultima considerazione. Purtroppo in Italia la maggior parte delle farine ‘commerciali’, quelle da scaffale del super per intendersi, riportano unicamente l’indicazione del livello di raffinazione (00, 0, etc) mentre il W e del P/L non vengono indicate sulle confezioni (non è obbligatorio). Tuttavia è buona cosa conoscere questi due importanti parametri per ottenere risultati costanti ma soprattutto quelli ambiti. Nella speranza che un giorno questo uso cambi e che, anche in questo caso, le etichette diventino sempre più strumenti di informazione trasparente al consumatore è utile sapere dove e come procurarsi farine di cui si conoscono gli effettivi parametri di forza. La mia indicazione è, oltre ai vari Eataly, di provare un buon negozio di prodotti biologici o di rivolgersi direttamente ai molini di qualità di cui fortunatamente il nostro paese è ricco. Alcuni poi si sono ormai orientati all’e-commerce e rendono i loro prodotti disponibili in rete, molto comodo soprattutto se non vivete in una grande città. Personalmente io mi rifornisco dal sito Tibiona.it del Molino Bongiovanni di Mondovì, Cn e mi trovo molto bene. Sono certa comunque che una ricerca in rete possa fornire anche altri indirizzi.

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