I grissini sono dei bastoncini di pasta lievitata, sottili e croccanti. Attenzione alla loro golosità: un grissino tira l’altro!
Scritto da Giorgia Fieni
Credo che, a conti fatti, il consumo maggiore di grissini avvenga al ristorante o in pizzeria. Pensate solo a quanti ne mettete distrattamente in bocca mentre aspettate che arrivi la pietanza che avete ordinato! Sono lì apposta per indurvi in tentazione: la loro golosità è indubbia e sanno aiutarvi a ingannare l’attesa molto più del pane. Ecco perché negli ultimi anni gli chef li hanno inseriti fra le proprie produzioni: Guido Gobino li cucina all’olio extravergine con semi di zucca, per esempio, Ilario Vinciguerra li mette in tavola con carne di bovino marinata al sale e pinoli tostati, mentre nella trattoria di Davide Scabin si pagano addirittura a parte, in un cestino con altri simil-pani, per la particolarità e la ricchezza della ricetta.
Questi bastoncini di pasta lievitata, sottili e croccanti, con una vita media di 60-70 giorni (hanno una bassa percentuale di umidità) e nati (si dice) per curare un’epidemia di peste mediante un prodotto molto cotto, si trasformano perciò in vere golosità…grazie a qualche piccola aggiunta. Farina di mais e semi di papavero (da servire avvolti di lardo e passati in un trito di erba cipollina, maggiorana, pepe nero). Prosciutto crudo e grana (dentro e/o fuori dall’impasto). Alga nori tostata. Spinaci e peperoncino. Granella di nocciole. Aglio, acciughe e prezzemolo. Bacon e peperoncino. Pomodori secchi. Formaggio e/o prosciutto. Interiora di selvaggina (con un pizzico in più di attenzione alle dosi in quanto dotate di sapori molto intensi). Oppure basta sostituire la normale farina con quella di mais o prepararli di pasta sfoglia. Per una versione senza glutine, la ricetta prevede farina di riso integrale, tapioca, farina di teff scuro, farina di mandorle, maizena, gomma xantana, lievito in polvere, sale, zucchero, uovo, acqua tiepida, olio d’oliva e una copertura di semi di sesamo e di chia per renderli anche golosi, oltre che sani.
I grissini più tradizionali rimangono comunque ii rubatà piemontesi (farina di grano tenero, acqua, sale, lievito di birra) che Friederich Nietzsche, nel 1888, definì come i sottilissimi bastoncini di pane che piacciono a Torino. Vanno gustati tal quali, senza eccessive manipolazioni. Al massimo sbriciolarli e usarli come copertura delle cipolle ripiene (di salsiccia, polpa di vitello, noce moscata, parmigiano, amaretti e grappa), o nella farcitura (con timo, pancetta tesa, finocchietto bollito, cipolla) del galletto al forno ricoperto di senape e radicchio, o nella zuppa (la famosa Supa barbetta: strati di grissini, verza, toma, cannella, noce moscata, bagnando con brodo vegetale prima di infornare).
Tutti i tipi di grissini sono d’altra parte una buona panatura per le cosce di coniglio (magari mischiati alle patatine in sacchetto, per dar loro più sapore), i tournedos (con burro alle erbe), i tomini aromatizzati all’olio di tartufo, la fassona (sempre Scabin, ma non c’è da stupirsi, visto che il suo ristorante Combal.Zero è localizzato in quel di Rivoli). Con scalogno, olio extravergine, vino bianco e brodo vegetale invece diventano una salsa che, frullata, accompagna l’orata o il rombo. Ma sono anche la base per la cheesecake salata, la cui parte cremosa può essere arricchita di peperoni abbrustoliti o zucchine all’aglio o crema di asparagina. E hanno fatto parte dell’antipasto intuitivo servito, l’8 marzo 1931, nel corso del primo pranzo futurista della storia: cestini scavati nella buccia dell’arancio e ricolmi di salame e sottaceti trafitti da bastoni di grissini.
E, se si tratta di queste ricette, l’attesa val la pena sia piuttosto prolungata!!