Elisabetta ha incontrato Cristina Bowerman, che ci racconta un po’ la sua storia … Da procuratore legale a chef …
Di Elisabetta Palumbo

Essere un procuratore legale o essere una cuoca, questo è il problema: se sia più nobile d’animo studiar legge o prender l’armi attraversare l’Oceano ed andare in America alla scuola Cordon Bleu. Impegnarsi, crederci, lottare, sperare e con ponderazione darsi dieci anni per sfondare, è la soluzione da accogliere a mani giunte.
Questa è solo parte dell’avventura vissuta da Cristina Bowerman, prima procuratrice legale, poi graphic designer ed infine oggi cuoca. Da Bari a San Francisco a Austin a Roma. Il primo traguardo arriva nel 2010 con la Stella Michelin: è stata l’unica donna per quell’anno e la Bocconi le dedica un case study. Attualmente si occupa dei menù di due ristoranti nella Capitale: Glass e Romeo. Ecco cosa ci ha raccontato.
Domanda: Come sei diventata Chef?
Risposta: Il mio percorso per diventare cuoca prima e poi, chef, è stato molto travagliato. Provengo da una famiglia borghese del Sud d’Italia in cui il lavoro di cuoco era associato solo alla parte manuale che prevede questo mestiere. Perciò, dopo essermi laureata in Giurisprudenza, ho deciso di viaggiare e di andare a vivere all’estero, portando con me la passione per la cucina. Sono andata in America dove ho iniziato un percorso lavorativo lontano da quelli che erano stati i miei studi, lavoravo nel campo del design, precisamente mi sono formata nel briefing design e specializzata nel settore food. Poi mi si è accesa una lampadina: ho scoperto che a San Francisco, città in qui vivevo, aveva aperto una delle scuola Cordon Bleu, così ho capito che potevo arrivare al lavoro di Chef attraverso lo studio, facendolo diventare una professione completa. Dopo essermi laureata mi sono data dieci anni di tempo per “sfondare”; in caso contrario, avendo due lauree, diversi attestati e parlando tre lingue, ero sicura del fatto che un lavoro lo avrei trovato.
D: Parlaci della tua esperienza in Italia e della Stalla Michelin.
R: Tornata in Italia, nell’arco di pochi mesi sono diventata la cuoca del ristorante Glass, grazie alla lungimiranza del mio compagno di vita adesso, Fabio Spada, all’epoca fondatore di Glass. Ricordo che gli chiesi di affittare la sua cucina nelle ore in cui era chiusa per poter preparare i catering con cui mi guadagnavo i primi soldi come cuoca. Lui intuì che il mio modo di cucinare poteva sposarsi bene con la filosofia del progetto Glass: un ristorante che rompe tutti gli schemi. Si trova al centro di Trastevere (quartiere di Roma n.d.r.) e non ha nulla di romano, lega tradizione ed innovazione in modo molto creativo, iniziando dall’architettura e finendo con la cucina. Grazie alle sinergie dei soci fondatori, Fabio Spada e Silvia Sacerdoti e alla mia creatività culinaria, Glass è stato il primo ristorante italiano senza tovaglie bianche a ricevere una Stella Michelin nel 2010.
D: Com’è la cucina di Glass?
R: La cucina di Glass è molto particolare, ed è la mia cucina. Io parto dal presupposto che il cibo sia un’espressione culturale dei nostri tempi: cerco di abbracciare la tradizione laziale, ma il nostro menù resta aperto a tradizioni internazionali, come quelle asiatica. Sono sempre stata una grande sostenitrice della fonte certa, piuttosto che della filiera corta. Mi piace utilizzare prodotti internazionali, assolutamente certificati, che diano alle mie creazioni in cucina qualcosa di particolare, di diverso, difficile se non impossibile da riprodurre con prodotti nostrani. Un esempio? Mi piace molto utilizzare lo yuzo, un agrume giapponese dalla scorza molto aromatica, oppure l’umeboshi, un condimento basico sempre della cucina giapponese, ottenuto dalla fermentazione di prugne salate. Insomma, elemento fondamentale della mia cucina è cercare di rimanere “fuori” dalle mode: infatti se mi accorgo che un alimento comincia ad essere inflazionato, anche se buonissimo, lo tolgo dal menù perché voglio che la mia cucina non sia una cucina ordinaria ed abbia invece sempre una nota di extra-ordinario. Ho imparato dai maestri di cucina asiatica l’importanza di confrontarsi sempre con il nuovo e l’umiltà di formarsi continuamente, ecco perché ogni anno dedico del tempo allo studio di nuovi alimenti e nuove tecniche.