Misha Sukyas, l’intervista
Scritto da Isabella Scuderi
E’ uno chef fuori dagli stereotipi, Mishia Sukyas ha fatto dell’effetto Alchimista in cucina, la sua fama. Il suo stile in cucina deriva da contaminazioni di tecniche ed esperienze, scienza e disciplina applicata a sapori dai toni alternativi, cioè diversamente classici.
Di origine Armene, tanto vissuto; Cina, Indonesia, Caraibi, Usa, Nord Europa, Polinesia, nella vita da chef non si è fatto mancare nulla, dunque niente di programmato, ma l’esperienza suprema nel campo con alcuni dei grandi professionisti. Qualche nome? Antonello Tagliabue chef del Bice a Londra, Grant chef di Pier Restaurant, Le Gavroche di Michel Roux, Marc Philipard, l’israeliano Moshik Roth, maestro della tecno-emozionale, ma al centro c’è sempre la sua forte personalità di essere distintivo.
Arrivo allo Spice Bistrot qualche giorno fa, in occasione del comunicato stampa del cambio di concpet; abbiamo scambiato opinioni e domande, ma dirottiamo l’intervista nel nuovo spazio all’interno dell’hotel Townhouse “Puzzle”, in via Goldoni a Milano. Misha Sukyas si racconta in un intervista dove l’approccio è tutto un programma, perciò ascoltiamolo.
Allora parliamo dei prossimi progetti in cui ti vedremo impegnato, Puzzle per esempio, qual è la spinta che caratterizza questo cambio di location e cosa dovranno aspettarsi i tuoi follower gourmet?
Una decisone sofferta dall’accadere degli eventi, un cambio di rotta che non è un mistero, dato dall’impossibilità di aprire lo Spice Bistrot e svolgere il mio di lavoro, i lavori M4 è stata la spinta. Quello che io vorrei comunicare, ed è fondamentale per esprimere in maniera più ampia la mia cucina, è l’interazione col cliente, uno stato per cui trovare un vera è propria fiducia culinaria nel lasciarsi coinvolgere, valorizzare il mio piatto con la sua opinione che in parole si traduce in quell’accorciare le distanze, è il mio obbiettivo preferito. Il messaggio è: “venite a mangiare nel salotto di casa mia”.
E’ un momento interessante per sperimentare in cucina, le tecniche sono sempre più ricercate, i clienti sono sempre più attenti, l’attenzione è tanta, stai raccogliendo grandi consensi, quindi cosa ti aspetti di ottenere da questo progetto che si traduce poi in doble gourmet.
Il mio concetto rimane sempre un fattore essenziale, imbattermi nel creare una cucina che non unisce solo per il piacere che da il cibo fine a se stesso, il mio progetto si traduce nel creare sinergia attorno ad un tavolo di 16 persone più o meno sconosciute e ricreare la spontaneità della condivisione, prendere le loro reazioni e moltiplicarle ogni volta che si lasciano guidare dalle mie creazioni, una cosa è certa l’attenzione del cliente sarà un dettaglio che mi nutre.
Ci racconti il momento più bello dell’avventura culinaria allo Spice Bistrot&Bar, e che cosa hai imparato in questo tempo.
Sono sempre stato restio al contatto fisico, intendo col cliente, strette di mano, pacche sulle spalle ecc… due settimane prima della chiusura dello Spice Bistrot ho avuto il mio effetto sorpresa, una Signora a fine piatto si è alzata e mi ha abbracciato, era il suo modo speciale per dirmi grazie, e questo mi ha fatto ricordare per quale motivo ho iniziato a fare questo lavoro, per far godere gli altri, renderli felici, mi ero dimenticato quanto si può essere gratificati da certi gesti, quello è stato il momento credo più significativo. E’ stato bello.
Nell’epoca del successo facile in cucina, tu ritieni di appartenere alla categoria dei cuochi secchioni che studiano sodo e imparano, o lasci anche spazio ad una buona dose di improvvisazione sensata.
Sperimentare con il cuore, è l’unione delle due, se esiste l’improvvisazione vuol dire che in passato hai fatto il secchione c’è poco da giocare, io quando cucino porto quelle che sono state le mie esperienze, che sicuramente hanno una base solida, la cultura in cucina non rimane solo nozioni e pratica, per convincere l’ingrediente fondamentale rimane sempre l’anima delle cose; il cuore.
Se dico alchimia quali sono le prime tre parole che ti vengono in mente.
Paolo Coelho, la loggia, e tanta ricerca, non sono tanto parole ma più concetti.
Passiamo a qualche segno particolare inedito della vita di Misha.
Qual è il suggerimento che i tuoi genitori ti hanno dato per sostenerti nella vita.
La differenza la distinguo tra quelli che mi ha dato mia madre, a differenza di mio padre. Mia madre di lottare costantemente per quello che si vuole, e non farsi mettere i piedi in testa, da parte di mio padre è un po’ più complicata, ma perché non è stato così presente, mi ricordo una frase che mi disse molto tempo fa, “trova quello che vuoi fare nella vita, se lo farai con passione probabilmente diventerai un autorità”, aveva ragione. Questa è una frase che non viene dai mie genitori, ma mi ha colpito perché mi ha scosso; non siamo arrivati così lontani per guardarci piangere addosso, non sai quanto una parola così diretta nel suo significato abbia avuto un così forte impatto su di me.
In cucina tanta sostanza riesci a fare quello che vuoi, è mediatico, diversamente in cos’altro ti senti grande, svelaci qualcosa che non sappiamo di te.
Non c’è nulla che non sappiate, quello che posso dirti che nella sfera privata mi sento voluto bene di riflesso alla capacità che ho io di dare, l’essere grande non è solo dato dalla bravura che si ha nel svolgere il proprio lavoro, ma nella grandezza di saper essere tante cose, quel lato che ti rende una persona degna di stima a prescindere da cosa rappresenti.
Infine, qual è il posto che tu chiami casa, e quanto ti senti Italiano.
Dove sento casa? il pianeta terra, non ho questo legame con i luoghi, quando dormivo nei fienili sul letto di paglia in montagna in India, per me quello era casa, quando ero a Shanghai nell’attico quella era casa, casa è dove sei, casa è dove stai bene, quando stai bene con te stesso è casa ovunque. Sogno in Italiano quindi si traduce in una forte appartenenza.
Facendo capolino a questa bella chiacchierata impariamo che Misha Sukyas oltre la sua bravura e la corazza della sua forte personalità, riesce ad essere tante cose, quelle stesse cose che poi in cucina lo rendono singolare.
Grazie Misha.