Intervista a Paolo Marchi, l’uomo di Identità Golose

Isabella ha intervistato Paolo Marchi, l’ideatore di Identità Golose.
Di Isabella Scuderi

Critica gastronomica, sport, passioni: guardando quest’uomo si capisce quanto carisma professionale abbia. Non c’è da stupirsi del caso, che abbia fatto delle sue attitudini una scala reale da asso di cuori. Paolo Marchi è considerato uno dei maggiori personaggi in materia di critica enogastronomica, si impegna per il connubio cucina d’autore e tradizione Italiana, con l’obbiettivo di rendere chiaro a maggior numero possibile di persone, l’arte culinaria delle nostre radici, che corrisponde a uno dei patrimoni rappresentativi e qualitativi del nostro Paese.

Nessun altro padroneggia in materia, in fattore di cibo, un virtuosismo che si incontra con una carriera lunga 35 anni: giornalista sportivo al “il Giornale”, la sua firma risulta essere una costante lunga 27 anni, l’approccio col cibo d’autore arriva spontaneamente, consapevole che non sarebbe stato solo un ruolo, un lavoro che l’avrebbe portato a esprimere una bella passione per il cibo d’alto ordine, lui a differenza crea un rapporto speciale, attraverso la sua naturale propensione di percepirlo ed esporlo. Per dare spazio alle sue capacità, si prende cura della rubrica, Cibi Divini per oltre 7 anni, tanti i riferimenti lasciati dalle sue tracce professionali, Affari di Gola racconta le pagine di un insieme di piaceri culinari, dove Marchi risulta essenziale.

E’ importante darsi un’identità, quello stretto sentiero che ci conduce al singolare, soprattutto quando si tratta del nostro operato, in altre parole il nostro segno d’istintivo è il massimo rispetto che si possa mostrare. Paolo Marchi racchiude la sua identità: completando questo segno con la nascita di “Identità Golose”, un’occasione unica che lo consacra ideatore e curatore del congresso Italiano più esclusivo al mondo. Il 2004 ne segnerà i natali.

Il vero cuore del potere di Paolo Marchi risulta essere la sua straordinaria volontà, le sue credenziali trovano identità attraverso diverse collaborazioni editoriali, Dessert al piattoDon Alfonso, Bibliotheca Culinaria per volumi sulle cucine di alta quota di Trentino e Lombardia,  Sapore d’Abruzzo, Venti di venti e Sushi Susci con Moreno Cedroni… fino al recentissimo XXL, 50 piatti che hanno allargato la mia vita per le Madeleines di Mondadori.

Tutto pesce”, un’opera capace di catturare l’interesse dei lettori, e l’attenzione della giuria premio Veronelli, una magnifica guida, ideale per vivere a cuor di palato il vostro cibo ideale: il pesce. Nel 2006 Marchi si gode questo prezioso riconoscimento.

Paolo Marchi, corrisponde a numerose realtà enogastronomiche d’eccellenza, l’associazione dei Jeunes Restaurateus d’Europe lo vede estensore della sezione Italiana, una proprietà di prestigio come pochi possono vantare.

Ogni capitolo che ci racconta quest’uomo, assomiglia a un manoscritto empirico, felicemente interpretato dallo spirito gioioso e goloso di Paolo Marchi.

Presentiamo in un pezzo unico la sua testimonianza:

La prima domanda che voglio farle è quella che probabilmente le farebbero anche molti lettori: per arrivare alla vetta, c’è bisogno d’armonia col proprio compagno di viaggio, in questo caso le associamo grandi capacità e spirito d’osservazione, un must nel suo lavoro. Per qualificarsi in questo status, cosa gli è stato necessario, si considera una persona disciplinata?

Conosco il significato della parola armonia, ma credo di avere vissuto davvero poco in armonia con me stesso, come non sono affatto una persona ordinata. Penso invece di avere una memoria speciale e una capacità di arrivare subito al centro di una cosa, soprattutto di quello che mi sta a cuore. Non perdo tempo in salamelecchi, pubbliche relazioni e futilità simili. Quando, poco più che ventenne, capii che nel mio futuro ci sarebbe stato il giornalismo sportivo, dentro di me sapevo che un giorno sarei riuscito a scrivere di cucina perché il traguardo della mia vita era quello. E i servizi sportivi mi avrebbero aiutato perché avrei girato il mondo per seguire eventi di sci, calcio e vela. Due pasti al giorno e molti lontano da Milano, è una bella base per un viaggiatore goloso e curioso. E quel traguardo è ancora lontano dall’essere tagliato, non mi sento arrivato, ho ancora due o tre progetti importanti in mente. Un suggerimento: avere sempre chiaro il bersaglio. In questo sono di una disciplina d’acciaio. Non c’è momento che io non pensi a Identità”.

Lei rappresenta dieci anni di Identità Golose, a proposito di successi, pare che lo scetticismo iniziale da parte di alcuni uomini del settore, abbia dato una forte scossa per dimostrare che lei aveva ragione, ha azionato quel difficile meccanismo che porta a casa i numeri. Come ci è riuscito?

“In tutta sincerità, quando nel gennaio 2004 decisi di dare vita a Identità Golose (che, in prima battuta, pensavo di chiamare Marchi di Gola, per fortuna tradotto si perde il gioco di parole con il mio cognome e così spuntò Identità Golose) non badai a null’altro che di avere il consenso di Ferran Adrià e di quei sette/otto cuochi italiani che oggi sono riconosciuti grandi da tutti ma allora erano ancora in cammino verso il podio stellato, Cracco e Bottura, Alajmo e Uliassi, Leemann, Scabin e Cedroni, Ciccio Sultano…

Guai fare qualcosa contro qualcuno, ti metti in una posizione di debolezza. Poi so bene che tanti erano alla finestra per vedermi con nulla in mano, ma perché perdere tempo con le miserie umane?”.

Nel suo ultimo libro, “Paolo Marchi XXL  50 piatti che hanno allargato la mia vita”,si racconta così: il goloso perfetto, un sinonimo di virtù che l’ha reso mattatore di un’avventura tutta golosa, per farla breve 50 storie per 25 ricette, tutto questo percorre un’esperienza di vita enogastronomica trascorsa in giro per il mondo. In particolare lei ci racconta le sue emozioni uniche, che le hanno lasciato tanti ricordi e tantissimi incontri con personaggi importanti, ebbene il suo è un racconto d’amore? o un grido di successo voltandosi indietro.

“Né uno né l’altro, soprattutto non è un grido di successo visto che non sono mai contento al 100% di quello che faccio: è un modo per raccontarmi. La prima volta che mi venne chiesto di spiegare come si diventa critici gastronomici avevo circa 40 anni e non mi sembrava proprio l’età giusta per una biografia. Avevo davvero fatto ben poco, Identità ad esempio era sinonimo di documento e stop. Adesso è diverso, il congresso è una realtà concreta e i ricordi sono tanti, quasi quanto le volte che mi viene chiesto come si diventa dei critici. Così mi sono raccontato, grazie alla pazienza di Annalisa Cavaleri, attraverso 50 piatti, compresi la cena migliore e il pranzo peggiore della mia vita. Parto dalla polenta di mia zia Elena in Trentino quando ero un ragazzino e approdo alle Lasagne vegane e crudiste di Sarma Melngailis e Daniela Cicioni. In mezzo c’è la mia vita. Ringrazio fin da ora chi acquisterà XXL per conoscerli.

 Il 4 novembre è stata presentata l’edizione 2015 della blasonata guida Michelin, sono ventisette le new entry con una stella, un giudizio che vede in particolare premiati chef dell’alta cucina dalla giovane età. Lei ha sempre sostenuto la categoria, poiché sono le basi per il futuro. Ecco facciamo un paragone, in che maniera si mangia da un new entry, a differenza della vecchia guardia?

“La differenza non è tanto sull’età ma sullo spirito e la personalità dei vari chef. Gualtiero Marchesi, che il 19 marzo compirà 85 anni, aprì il primo ristorante tutto suo che aveva quasi 50 anni e per lustri la sua è stata la mente più giovane nel panorama italiano. Premesso questo, bisogna distinguere tra chi è nuovo giusto per una questione anagrafica e chi lo è con la testa. Nel primo caso avremo giusto locali più freschi, che non si conoscono giusto perché esistono da poco. Poi assaggi i piatti e spesso siamo nella norma, trovi quello che la moda impone, copiatori insomma. A me interessano gli Scabin e i Cracco: un piatto un mondo nuovo. Nessuno aveva mai pensato al Cyber Egg, penso al piemontese, o al Midollo, fave e cacao come per mister Masterchef. E così arrivo, finalmente, a risponderle: il giovane di autentico valore ti serve qualcosa che non hai mai mangiato prima. In tal senso chi scrive di cucina è fortunato perché troverà sempre, a patto di continuare a cercarla, quella risposta che Rocco Siffredi mai. Lui infatti un giorno disse che una donna per stupirlo avrebbe dovuto averla orizzontale. Le vie del gusto invece sono infinite: orizzontali, verticali e oblique”.

 Dobbiamo calarci nella scena: “Expo 2015”. Il tema ha come obbiettivo primario  lo sviluppo dell’alimentazione, le identità regionali del mondo si confrontano, lei sottolinea il fatto che è molto importante concentrarsi sull’interesse del tema, accogliendo l’evento con meno verve da palcoscenico mediatico, ma puntando a comunicare e divulgare i prodotti e le realtà agroalimentari della nostra terra. La vostra è una presenza  di alto merito, cosa porterà come valore aggiunto in rappresentanza della nostra bandiera.

“Noi cercheremo di dare vita ogni giorno per 184 giorni – o 26 settimane se suona meglio – a Identità come è a Milano ogni febbraio da un decennio a questa parte. Quindi degustazioni, dibattiti, presentazioni di libri o di prodotti, confronti tra figure di nazioni diverse, pranzi e cene anche se non saremo un ristorante in senso stretto. Saremo una sorta di casa palcoscenico dove mettere in mostra le eccellenze italiane in costante rapporto con il meglio che arriva dal pianeta”.

 Come si conviene per chiudere in simpatia le chiedo: metti una sera tre grandi chef stipati nella cucina di casa sua, chi vorrebbe trovare affaccendati a preparargli la cena? E in quale ordine di pietanza per soggetto?

“Il Risotto alle cipolle di mio padre trent’anni fa a Paxos, il rognone cotto nel suo grasso di Alain Chapel e la Tarte Tatin preparata dalle sorelle Tatin. So bene che sono persone che ora riposano in cielo ma, impossibile per impossibile, mi piace sognare”.

“Io scrivo per due motivi, che mi sono evidenti da poco, soprattutto il secondo. Punto primo: in ordine di tempo, io avrei prima voluto fare il fotografo, ma venni stoppato da Oliviero Toscani, poi il cuoco, e uno stellato anni Settanta (tenere per favore conto che sono nato nel marzo 1955) era pronto a farmi tagliare patate da lui per un inverno intero. Però io stesso sapevo che non avevo mai studiato la luce né sapevo fare un fondo bruno. Scrivere è tutto in me. Punto secondo: il mondo della ristorazione era l’unico che i miei genitori non frequentavano e di conseguenza era il solo nel quale non avevano esempi con i quali mettermi in una sorta di competizione. Ero libero di esprimermi”.

E’ interessante poter leggere l’esperienza e l’intensione , di grandi nomi della critica enogastronomica. Paolo Marchi ha reso questa testimonianza preziosa, grazie al suo stile camaleontico di interagire. Che sia proprio questo uno dei suoi tanti segreti per il successo?

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