Intervista esclusiva ad Andrea Provenzani Chef e proprietario del ristorante Liberty di Milano.
Scritto da Dorina Palombi
Andrea Provenzani è un vulcano di positività e propositività.
È un ristoratore a 360 gradi, uno di quelli che ti fa stare bene davvero, appena varcata la soglia de Il Liberty, il suo ristorante in viale Montegrappa 6 a Milano.
È il perfetto “padrone di casa” che non ha bisogno di stupire con effetti speciali ma lo fa muovendosi ai fornelli con una tale armonia da rapire lo sguardo e tenerlo con sé.
Poi c’è l’atmosfera che fa tutto il resto.
Ti senti quasi a Boston e la mente è confusa nel cercare di capire se si trova nel loft del Principe Azzurro o in un locale pubblico.
Di certo i piatti di Andrea non aiutano a chiarirsi le idee, soprattutto quando porti alla bocca cappelletti con una sfoglia fatta a regola d’arte che forse solo le nonne emiliane sanno fare.
Ripresa coscienza e riempita la pancia abbiamo fatto due chiacchiere con lui. Ecco il risultato.
Andrea, come è cambiata la scuola alberghiera da quando la frequentavi tu a oggi?
Ho avuto la fortuna di frequentare una scuola in “via di sviluppo”, come fosse stata sulla rampa pronta al decollo.
Il preside, ad esempio, era temuto e quindi rispettato; c’erano regole ben precise a cui attenersi: in casa, a scuola, nella società. Tutto ti preparava al futuro.
Ora ho il sospetto ci sia troppa accondiscendenza, cosa di cui la cucina è decisamente priva.
In proporzione la nostra generazione ha ereditato molto di più di quello che lasceremo tra vent’anni ai nostri ragazzi.
In una realtà a volte troppo autocelebrativa la tua cucina si distacca per la sua semplicità disarmante.
La mia è una cucina di pancia, di sostanza.
E’ qualcosa che non cerca l’effetto “wow”, l’effetto estetico -seppur importante- ma risulta pulita, semplice, essenziale.
Aggiungere perché “è bello” non mi appartiene.
Mi ricordo quando mia madre cucinava lasagne o cappelletti; io vedevo sobbollire il ragù e lo trovavo eccitante, provavo godimento nei grandi arrosti. In bocca non serve altro.
L’eccellenza si deve esprimere nell’essenziale. Basta aggiungere perché la generosità non deve essere sostitutivo di nettezza.
Un cibo deve essere generoso nel gusto, e accessibile a tutti anche nel linguaggio: 3 ingredienti, un leggero sottotitolo di sviluppo così da indirizzare il cliente.
Solo così le aspettative saranno ripagate.
Cosa significa “andare al ristorante”?
Godere di tutto. E’ un insieme di servizio, sala, atmosfera, cibo.
Tutto in perfetto equilibrio così da avere una bella situazione di cui ricordarsi nei giorni a seguire.
Il ristorante è composto da una comunione di situazioni che devono trovare armonia in un discorso globale. Solo quando tutti questi ingredienti combaciano tra di loro il cliente è disposto a tornare perché appagato dalla serata.
Tradizione e innovazione. Cosa tieni e cosa butti.
L’innovazione prevede la conoscenza così da capire perché si fa un tipo di scelta.
Il cambiamento è inevitabile ma va di pari passo con la cultura e non per forza deve avere un ritmo più incalzante.
Il passato è qualcosa da cui dobbiamo attingere consapevoli del fatto che la nostra terra è la cosa più contaminata che si possa immaginare. E allora ecco che la nostra tradizione si basa sul “saper rendere nostro qualcosa di altrui”
Quando hai troppo e attingi da diversi bacini ti accorgi che non tutto vale la pena di essere usato.
Stesso discorso per tradizione e innovazione.
L’ultima domanda, grande classico delle interviste di Honest Cooking. Descriviti attraverso i cinque sensi
Parlando dell’olfatto senza dubbio sono il profumo del ragù, un qualcosa di tracciabile e romantico ad ogni bolla che scoppia e si diffonde nell’aria.
Sono il rumore di una cucina, di metalli che si toccano e creano una sinfonia e un ritmo che va dall’erotismo del jazz alla potenza del rock.
Se penso alla vista mi viene alla mente un paesaggio che cambia a bordo di una moto.
Sono un gusto sapido e acido, che da un brivido al palato.
E una texture turgida e croccante, come una verdura freschissima pronta per essere colta.