La ristorazione giovane di Porto San Giorgio. Una gita all’Arcade

Dorina è andata a trovare Nikita Sergeev, il giovane chef del ristorante Arcade a Porto San Giorgio. Ha assaggiato alcuni suoi piatti e l’ha intervistato per noi.
Di Dorina Palombi

Vado a trovare Nikita Sergeev una tarda mattinata di fine aprile.
Porto San Giorgio mi accoglie sonnolenta, calda a sufficienza ma non abbastanza come piace a me.
Torno a casa, di nuovo. Ripercorro il viale che dalla stazione porta verso il centro della cittadina marchigiana.
Mi allontano dal mare, verso il Ristorante Arcade.
Mi allontano dagli chalet che promettono, da lì a qualche mese, momenti leggiadri, panini profumati, creme al cocco e poi, la sera, cocktail, stelle e tormentoni estivi.

Cerco allora una pausa gourmande e vengo accolta dai toni neutri del bianco e del tortora, da una musica raffinata e d’atmosfera e da calici sapientemente scelti da Leonardo Niccià, sommelier dell’Arcade.
Si respira freschezza, gioventù. Scelgo un menù degustazione tra i tre porposti in carta ( degustazione, percorso Nikita e libera ispirazione) e tutto mi è chiaro, fin dalle prime portate.
Mi è chiara l’identità di chi sta cucinando per me, mi è chiaro il percorso, la storia.

Lo chef è Nikita Sergeev, 26 anni, da Mosca.
Inizia il suo racconto gastronomico proprio da li, dalla Russia, proponendomi i sapori decisi delle aringhe, del carpione.
Si capisce che è giovane, che ha studiato,  che deve imparare perchè di imparare non si smette mai.
E se dovessi scegliere un piatto fra tutti per raccontarlo, di certo sceglierei la proposta scanzonata di una macedonia fatta di palline ghiacciate e “frizzipazzi”: profumata, divertente, forse irriverente ma che ti lascia il sorriso di chi, per un attimo, è tornato adolescente.

La sua cucina è coraggiosa, quel coraggio incosciente che si ha a 26 anni. E’ una cucina che ti dice subito da dove arriva; una cucina che si presenta con sapori inattesi, e che poi arriva nelle Marche, a Porto San Giorgio.
E allora si fa morbida, delicata ma senza farti dimenticare da dove è partita.

E allora questo viaggio ho voluto farmelo raccontare proprio da lui, in un’intervista che mi ha rilasciato davanti a un caffè. Per scoprire il prima e l’adesso, senza sapere nulla di domani.

Nikita, da Mosca a Porto San Giorgio. Perchè e come?

La mia storia nasce lunga. Arrivo nelle Marche con la mia famiglia circa 10 anni fa. Era la prima volta per noi sull’Adriatico; eravamo venuti a trovare dei nostri amici che si erano trasferiti a Porto San Giorgio. Era diversa allora questa cittadina, viveva di turismo e di “movida”, cosa che ora ha un po’ perso.
Comunque era un luogo che ci piaceva e siamo tornati, anno dopo anno, fino a trascorrere più tempo qui che in Russia.
Alla fine tutto era chiaro: abbiamo cercato una casa e ci siamo ritrovati a Campofilone.

Ma tu eri ancora uno studente.

Si, dovevo finire la scuola e fare l’università. Non mi sentivo ancora pronto personalmente. Così mi sono iscritto a Scienze Politiche a Mosca, mi sono laureato e ho fatto anche un periodo a Firenze, con l’Erasmus.
A 23 anni mi sono ritrovato con una laurea e con la voglia di lavorare. La prima mi ha insegnato a vivere, mi ha formato. Ma qui non era riconosciuta (nonostante il periodo a Firenze) e mi sono dovuto guardare in giro. Allora ho seguito la mia seconda passione e ho deciso di trasformarla in lavoro.
Amo da sempre la cucina ma un conto è cucinare a casa, un conto chiamarlo “lavoro”.
Così mi sono iscritto all’Alma, ho eseguito tutto il percorso, fatto stage, imparato.
E sono tornato a Porto San Giorgio, tuffandomi nella ristorazione come si fa nel mare.

Come nasce l’Arcade?

Nasce diverso da quello che vedi ora. Le idee erano differenti, dettate anche dall’incoscienza e da una strada accennata ma senza un percorso ben delineato.
Tutto era in fase di sviluppo. Figurati, lo è tutt’ora, pensa prima!
Due anni dopo posso dire che sta andando bene. La passione è rimasta ma la conferma me la danno i clienti e i libri contabili.
Perchè alla fine bisogna essere pratici e guardare quelli.
La curiosità ora, è passata. E’ ben chiaro come cucina il ragazzo che è arrivato dalla Russia e, devo ammettere, è stato duro convincere la gente del mio operato.

Come è cambiata la tua idea di cucina?

Prima volevo stupire il cliente a tutti i costi, cercando l’estetica, il colore più luminoso e magari sacrificando il gusto.
Ora cerco il sapore, la tecnica. E’ proprio un concetto che mi piace: cercare il gusto, preferendolo alla teatralità. Capisci che è una ricerca infinita, un qualcosa che credi di aver raggiunto e poi ti lascia disarmato..per ricominciare di nuovo.
Ho pulito molto sia il ristorante che il menù. I posti a sedere sono diminuiti, la mise en place è diventata più essenziale. Per far posto al gusto e ai colori del cibo.

Il tuo menù identifica perfettamente la tua identità e il tuo viaggio.

Si, decisamente. Sono orgoglioso delle mie radici e cerco di sottolinearlo attraverso prodotti non stereotipati.
Quindi non trovi il caviale ma trovi kefir o olivello spinoso. Ti fanno fare un percorso “fuori dalle rotte battute”, con morbidezza. Ma ti dicono esattamente dove sei.
D’altronde non ho aperto un ristorante russo, sono a Porto San Giorgio, mica a Milano. E quindi gli ingredienti devono essere come in un musical e non attori protagonisti.

Come si vedono le Marche da fuori?

Abbiamo fatto un giro folle per arrivarci, nelle Marche.
Questo ci dà la consapevolezza di aver cercato la bellezza e non esserci fermati al primo paesaggio mozzafiato che abbiamo incontrato.
Siamo partiti dalla Danimarca, percorrendo l’Italia dal Tirreno all’Adriatico, passando da Toscana, Campania, Puglia.
Poi ci siamo fermati. Abbiamo trovato un non so che. Niente di più o meno bello.
Non posso dirti che le colline marchigiane mi emozionano più delle montagne valdostane. Sono cose diverse. Ma qui ho trovato un feeling speciale.

La tua città preferita?

Adoro Firenze, Bologna.
Amo i borghi marchigiani ma rimango affascinato da Ancona perchè è brusca, ti confonde ma ti attira come una calamita.

Raccontami un ultima cosa. Il tuo primo ricordo gastronomico

 Sono mille ma uno è legato allo stupore di bambino.
Quando, a Mosca, i miei genitori mi portavano al ristorante ordinavano, come si fa sempre con i bambini, un menù adatto al mio palato che doveva ancora svilupparsi.
Io però guardavo estasiato il maitre che montava la maionese davanti ai miei occhi. Schiacciava l’acciuga, la rendeva crema e poi iniziava movimenti simili a un direttore d’orchestra per creare la magia..
La stessa magia che non vedevo l’ora di assaggiare, un giorno, da grande.
E allora avevo fretta di crescere per quel cibo proibito.

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