Una visita estiva alla Tenuta Montiani, nel Chianti. Bere vino “naturale” solleva molti quesiti … Sentiamo cosa devono dirci Mattia e gli amici della tenuta.
Di Mattia Piazza

Determinato ad approfondire una pregevole conoscenza che feci al Vinnatur 2012 – quando estasiato sensorialmente mi ritrovai affamato di conoscere da vicino una realtà così di sguincio- al tramonto di un pomeriggio d’agosto, arrivai nella piccola S. Polo in Chianti. Il piccolo centro, oltre ad essere un’imperdibile meta per il turista desideroso di scoprire il territorio del Chianti Classico, deve gran parte della sua fama al Giaggiolo, meglio noto come Iris ed impropriamente definito Giglio. II fiore simbolo del capoluogo toscano e delle colline che lo circondano, è conosciuto ed apprezzato fin dall’antichità per le proprietà dei suoi bulbi essiccati. Sia in campo medico che, soprattutto, in quello cosmetico il Giaggiolo per secoli è stato usato per preparazioni di vario tipo: contro la tosse come contro il morso della vipera e la depressione, per i profumi come per ciprie, saponi e coloranti.

Ma il motivo che mi spinse da queste parti era un’altro. La fattoria biologica “Tenuta Montiani” solleticava la mia curiosità, non tanto per mappare le caratteristiche organolettiche del loro vino, Il Felix -compito assai complesso per quanto mi riguarda che rimando volentieri al nostro impeccabile Ivan De Chiara- ma piuttosto per capire quale filosofia di produzione c’era dietro e come essa rimanesse così avvinghiata allo spirito del luogo. Il Felix, è un vino ottenuto da uve biologiche, vale a dire provenienti da vigne coltivate solo con l’utilizzo di concimi organici e trattate solamente con rame, zolfo e prodotti di origine organica consentiti, ma è sopratutto un vino naturale (come solo il 2% della produzione vinicola italiana): perché le uve biologiche una volta arrivate in cantina, non vengono trattate con nessun additivo ne chimico ne organico, ovvero nessuna aggiunta di lieviti selezionati, nessuna aggiunta di tannini, nessuna correzione di acidità. Unico intervento possibile è l’aggiunta, in modo limitatissimo, controllato e dichiarato, di anidride solforosa ossia i famosi solfiti: presidio di longevità del vino.

Marinella Vallauri e Michele Gherardo Totaro, per gli amici Mari e Miscia, sono i pilastri della fattoria. Dopo avermi accolto con un solare spirito di accoglienza, inalandomi l’orgoglio che provano per il loro Felix, mi hanno messo in chiaro sin da subito: ” La primordiale ragione della fama mondiale dell’area del Chianti era una base di vino comune che poi si arricchiva di tipicità e peculiarità che variavano di colle in colle, di poggio in poggio.Tutto questo con il prolificarsi delle “vip-cantine” e lo sviluppo di grandi consorzi tutto questo si sta perdendo, che tendono ad utilizzare macchinari uguali in tutta italia piuttosto che intervenire con additivi per correggere quelli che vengono erroneamente definiti difetti”. Si preferisce correggere a posteriori e standardizzare, piuttosto che focalizzarsi sul processo naturale che porta a quel risultato. Chi l’avrebbe mai detto? la denominazione d’origine, alle volte, sfocia nell’omologazione della produzione e quindi anche nell’omogeneizzare sapori e profumi. Proprio qui il Felix, decide di correre da solo a modo suo, decide di rimanere Felix, preferendo ogni anno il declassamento della denominazione in I.G.T. nonostante ci troviamo in piena D.O.C.G. del Chianti Classico. La fattoria Montiani, anche grazie alla consulenza esperta di David Picci, preferisce continuare il proprio percorso basato sulla centralità del processo naturale in vigna; sulla solida consapevolezza che ogni vigna non può essere perfetta quindi meglio tutelare la biodiversità piuttosto che intervenire in modo invasivo in nome della quantità e della perfezione, qui entra in gioco il ruolo chiave del filtraggio e della separazione del vino dalle feci, vera sfida annuale che permette al vignaiolo di non smettere mai di imparare. “Non si può pretendere di fare un raccolto al 100% perfetto ed equilibrato perché ogni pezzo di vigna possiede una condizione ambientale a se stante, meglio mettersela via! ” mi confidò Miscia.

La tenuta implementa tecniche naturali anti-siccità, nello specifico con l’aridità delle terre di Galestro non viene effettuata vendemmia verde o selezione dei grappoli all’inizio dell’estate bensì viene svolta a ridosso della raccolta (che avviene nel periodo a cavallo tra settembre e ottobre), così lo stress da caldo trova sfogo su più grappoli, limitando il forte aumento del grado zuccherino tipico nei mosti degli ultimi anni, evitando così di ottenere vini tosti e nervosi a 16 gradi. Non meno importante è la vegetazione selvatica lasciata appositamente sul filare, essa protegge dal caldo, dai raggi solari e mantiene la poca umidità notturna.
Ritornando alla spinosa questione dell’aggiunta di anidride solforosa, si sta riscontrando all’interno della ristretta cerchia di produttori naturali un’ancora più accanita corsa per l’eliminazione di additivi anche organici in vigna e di solfiti, seppur limitati, in cantina. Qui sorgono alcuni dubbi per la fattoria Montiani: conta di più il 98 di Parker o la solforosa sotto i 0,2 mg/l? conta di più la ricerca estrema di genuinità o la piacevolezza ed il livello qualitativo di un vino? Miscia ci mette in guardia: “Anche per me l’obbiettivo è quello di abolire rame e zolfo in vigna e solforosa in cantina, e credo che sia il sogno di ogni vignaiolo onesto, ma questo sogno diventa pericoloso se diventa fissazione, perché si rischia di lavorare solo su questo a discapito della qualità”. Il Felix, si badi bene, si evolve seguendo i propri ritmi naturali, in sintonia con l’andamento climatico dell’annata e della stagione, viene invecchiato in legno all’interno dell’antica cantina in pietra, e per comprenderlo appieno provatelo quando avrà almeno 4 anni e sarà una felice momento di trasporto sensoriale.
