Genesi e storia dell’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia. Sentiamo cosa ha da raccontarci Valentina.
Di Valentina Venturi

Credo che tutti conoscano benissimo l’aceto balsamico tradizionale di Modena. Beh, io sono diReggio Emilia ed oggi vi voglio parlare dell’Aceto Balsamico Tradizionale della mia terra. Come prima cosa è bene introdurre l’argomento con qualche cenno storico che credo chiarisca un po’ la genesi di questa faida campanilistica. L’aceto balsamico nasce nei territori estensi fra Modena, Reggio, Sassuolo e Scandiano, quindi nessuna sorpresa se, al momento della costituzione delle provincie (e a dire la verità anche prima) ci sia un po’ tirati per la giacca per potersi fregiare di aver dato i natali a questo prodotto straordinario. Lasciando perdere per un attimo gli aspetti squisitamente legati all’abilità di marketing dell’una o dell’altra “fazione” andrei a concentrami su come e quando nacque l’aceto balsamico.
Le prime tracce scritte e databili con certezza risalgono al 1046 quando pare che Bonifacio, Padre di Matilde di Canossa, omaggiò l’imperatore Enrico III di Germania, che sostò nel castello di Canossa, con una boccetta di un “prezioso elisir”. Il fatto storico è registrato nel poema “Vita Mathildis”dal monaco Donizone, il principale biografo della Gran Contessa Matilde. Giunti a quest’epoca l’aceto era però un prodotto già in uso, le sue origini dunque si perdono in un periodo storico ancora più antico, probabilmente addirittura alla tarda epoca romana.
Tutta la dinastia che governò il ducato di Modena,Reggio e Massa fino al 1859, arricchì per secoli le cronache di memorie sull’aceto balsamico tradizionale. Lodovico Ariosto, scrive nella terza delle sue Satire dedicata al cugino Annibale Malaguzzi, “in casa mia mi fa meglio una rapa ch’io coco, e cotta s’uno stecco inforco e mondo e spargo poi d’aceto e sapa”.
Secondo le parole degli specialisti, “l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia si ottiene dalla fermentazione zuccherina e ossidazione acetica di mosto d’uva cotto proveniente dalla pigiatura delle uve prodotte nel territorio della provincia di Reggio Emilia”. (cito testualmente quanto riportato sul sito ufficiale del’associazione dell’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia)
dunque come avviene la produzione? L’aceto “madre” che viene conservato in piccolissime botticelle arriva ad avere un’età anche di centinaia di anni e guai buttare le botti!!ogni anno le botti più grandi, che contengono l’aceto più giovane, vengono nuovamente riempite, ma prima parte del contenuto viene trasferito nelle botti più piccole (via via più piccole a seconda dell’invecchiamento) per proseguire con il processo di invecchiamento. Le botti sono fatte con legni diversi e, come detto, diventano di volta in volta più piccole, per dare stabilità e intensità di profumo all’Aceto Balsamico. Il numero di botti varia a seconda dell’acetaia e può arrivare fino a 20!tenete conto che si va da poi da una capienza di 100 litri fino a 10!! L’aceto nuovo si ottiene con la pigiatura delle uve messe poi all’interno di tini in attesa che vinacce e raspi vengano a galla per poi filtrare il tutto e cuocerlo a fuoco lento. È la fermentazione a consentire la trasformazione dello zucchero in alcool ed è poi l’addizione di colonie di aceto batteri che avviano l’ossidazione acetica. Dove si conserva l’aceto?ma nelle soffitte!!fondamentale è infatti che sia esposto alle variazioni termiche e i solai sono perfetti a questo scopo.
Ora che vi ho raccontato un po’ di storia e di questioni “tecniche” veniamo all’aspetto più stuzzicante: l’impiego in cucina! L’aceto balsamico lo potete usare dappertutto!! Ormai va di moda da un po’ quindi sono certa che avrete già sperimentato varie ricette, vi prometto però che ne condividerò io stessa qualcuna qui al più presto, lasciate però che ve ne suggerisca un impiego che affonda le radici nella tradizione contadina: a fine pasto un cucchiaino da caffè pieno da utilizzare come digestivo. Magnifico!!!!ma mi raccomando, solo balsamico tradizionale e che abbia almeno 25 anni!