Nel bel mezzo di un paesino francese “senza senso”, una piacevole sorpresa … Monica ce la racconta.
Di Monica Ranieri
Castanet Tolosan è un paesino francese senza senso, non me ne vogliano gli abitanti, dell’hinterland di Tolosa (Francia). Tutte costruzioni nuove, basse, né belle, né brutte. Quei centri abitati a misura d’uomo ma terribilmente anonimi.
Siamo arrivati nei paraggi durante le nostre vacanze spostandoci dalla Provenza verso i Paesi Baschi. A metà strada c’è Tolosa, cittadina universitaria, ed il suo hinterland.
Abbiamo alloggiato in un motel, che tutte le chambre d’hotes (b&b) erano pieni, ed in verità pochini (solo un paio).
Abbiamo girato non poco per mangiare, non sembravano esserci né ristoranti, né trattorie. Ci siamo affidati al nostro navigatore, che prima ci ha portato ad un locale dall’aria decisamente rarefatta per una famiglia, mi sarebbe piaciuto qualcosa di diverso. Seconda opzione, ci porta presso un canale, parcheggiamo. Tavolini in metallo senza tovaglie e clientela la più disparata. Non abbiamo cercato né i prezzi, né il menu (che all’estero praticamente tutti i locali espongono all’entrata), ci piaceva.
La padrona ci ha accolto sorridente. Ha apprezzato il mio francese assai fané e noi, nell’imbarazzo della scelta, ci siamo affidati al menu per bambini e a quello per adulti.
L’antipasto dei bambini consisteva in affettati misti, porzioni abbondanti e buone, non insapori per accontentare i più piccoli. I miei figli hanno apprezzato e divorato il tutto.
Il nostro è stato portato su uno spesso piatto fondo di porcellana bianca con un rigo blu contente due palmi di salame (quindi intero, non affettato), altrettanto di salame di fegato, insalata mista, prosciutto crudo di montagna (jambon serrano) e poi un alimento non ben identificato dalla consistenza burrosa e spolverato di pepe finissimo. Il pane, invece della tradizionale baguette, ma qualcosa di più rustico, a fette, freschissimo. Abbiamo mangiato di gusto.
L’ultimo, ad essere assaggiato, è stato lo “sconosciuto”, spalmato sul pane, al primo morso son stati subito fuochi d’artificio, alla Ratatouille per intenderci. Ma di cosa si trattava? Burro? No. Formaggio neppure. Lardo? Oddio, poteva essere, ma era troppo spalmabile.
Quando è tornata la proprietaria le ho chiesto di cosa si trattasse: patè de fois gras de canard. Meraviglioso, ho commentato, mai mangiato così buono.
Il piatto forte per me erano cuori di anatra (la stessa del patè? Chissà) rosolati col patè con contorno di ratatouille e patate con una salsina cremosa e speziata, buonissime anche loro. La variante di Stefano prevedeva il salmone arrosto, mentre quello dei bambini una piccola ma sostanziosa bistecca non troppo cotta (ma perché gliel’ho chiesto io, altrimenti la cuocevano come richiesto).
Da bere: acqua, rigorosamente Evian, senza mezze misure, o liscia come la nostra acqua Panna o una bomba esplosiva, stile Perrier. Birra, leggera, delicata, forse troppo per i miei gusti. Per i bambini syrop: ovvero uno sciroppo a scelta (menta, granatina, fragola, etc etc) da diluire in acqua per fare una bibita dolce ma “corretta”.
A conclusione il dolce: per me crustade de pomme (croccante alle mele, una sorta di strudel), per Stefano un crumble mele e frutti rossi e per i bambini due gelatini vaniglia e cacao della casa. Fantastico.
E mentre noi mangiavamo, nostra figlia mi descriveva la clientela (stupidamente mi ero seduta dando le spalle al resto degli ospiti), il maschietto sembrava preso dal ballo di San Vito, accanto a noi scorreva placido il canale, lungo la sua ringhiera erano appesi vasi fioriti e, incuranti di questa piccola popolazione alle prese con uno dei piaceri di Gargantua, un’altra popolazione, del tutto parallela, andava in bici o faceva jogging.
Se siete in viaggio da quelle parti vale la pena fermarsi per assaggiare la loro cucina e respirare quest’aria così diversa da quella delle grandi città.