Fuga a New York e piacevole sorpresa per Ilaria, che si imbatte in una mostra molto, molto interessante, dedicata alla pausa pranzo.
Di Ilaria Maggi
“A New York ogni cosa è diversa da qualsiasi altro posto al mondo, ma nel cibo questa differenza colpisce ancora di più”. Non sono parole mie, ma di George Foster, tratte dal suo libro New York in Slices del 1849. Ma quanto ancora oggi sono vere!
Di cibo, ristoranti, street food, bakery, food truck si potrebbe parlare per ore, a NY ognuno ha il suo posto preferito, quello da non perdere, quello dove “fanno il miglior hamburger della città” e quello più alla moda in quel momento (ovvero per pochissimo).
E il bello di questa città è un po’ questo: ascoltare, magari appuntarsi qualche dritta, per poi lasciarsi andare, alla ricerca di quei posti da fare “nostri”. Quindi il mio unico consiglio, se mi passate il gioco di parole, è non prendere i consigli troppo alla lettera e lasciarsi stupire, ispirare, vagare come bambini – anche se a nyc siete già stati milioni di volte – con il naso all’insù e ben affinato pronto a cogliere profumi e aromi che invadono la città. È facile così imbattersi in cose non programmate che ti sorprendono. E qui torniamo alla citazione iniziale. Vengo al dunque: la sorpresa per me questa volta è stata una mostra. Che parla di cibo, di tradizioni, di storia. In cui mi sono imbattuta praticamente per caso e dove mi è capitato di vedere il primo Automat, antenato dei nostri distributori automatici, e le cassette in latta con il pranzo dei lavoratori, antesignane della nostra “schiscetta”.
S’intitola Lunch Hour, letteralmente “pausa pranzo”, ed è in programma alla New York Public Library fino al 17 febbraio 2013. Ne racconta le origini e le evoluzioni, attraverso foto storiche, ricostruzioni di ambienti – la cucina anni ’50 è un vero gioiello – poster, aneddoti e curiosità. Si scopre così che il momento della pausa pranzo probabilmente è nato proprio qui, a NY (e dove se no?), con l’arrivo degli immigrati dal vecchio continente in cerca di lavoro. La città si adeguò al ritmo dei suoi lavoratori “per sfamarli nel minor tempo possibile”. Veloce, frenetico, democratico, come la città.
Si va dallo street food, come ancora oggi lo intendiamo, al “power lunch”, il cosiddetto pranzo di lavoro dei business man; c’è il carrettino degli hot dog – curiosa la storia degli ombrelloni che distinguevano i venditori “ufficiali”– e l’angolo con i pretzel – lo sapevate per esempio che ne era stata per un periodo vietata la vendita perché associati alla birra e dunque all’alcol?. Il cibo a New York è un’istituzione, un incontro di culture, un melting pot di tradizioni e usanze che vengono da lontano.
L’esposizione si chiude con una selezione di copertine del New Yorker dedicate al tema “cibo” in bella mostra: so di essere di parte, ma per me valgono l’intera mostra.