Gli amici di ConsuMare Giusto ci parlano di allevamenti intensivi e delle piccole decisioni che possono fare la differenza al momento dell’acquisto di pesce.
Di Daniele TibiL’allevamento ittico è un settore in forte crescita e nel 2011 ha raggiunto per la prima volta la pesca, per quanto riguarda la quantità di prodotto fornito su scala mondiale. Si propone quindi come un interprete importante, all’interno della filiera, con grandi traguardi da raggiungere e grandi criticità da risolvere.
Cercando informazioni mi sono chiesto come mai l’allevamento si concentrasse quasi sempre in aree sensibili come quelle costiere fredde e non si cercasse di ridurne l’impatto spostandolo al largo. Ho trovato molto più di quello che mi aspettavo.
L’acquacoltura avviene quasi totalmente nelle acque fredde (Mar Mediterraneo a parte, in cui si allevano molte orate e spigole), ma questa attività non è stata relegata all’acqua fredda di per sé. Il motivo per cui queste regioni, alle estremità nord e sud del globo, sono più adatte alla produzione di pesce è che possiedono coste rocciose ripide, che non sono tipicamente abitate da molte persone, e acque profonde vicino alla riva. Possiedono inoltre più insenature e fiordi, che offrono protezione naturale alle gabbie di allevamento contro gli elementi e le forti correnti.
Di contro le acque calde hanno litorali meno ripidi, più lineari e molto più densamente popolati. Le persone che ci vivono generalmente non sono favorevoli a un allevamento di pesci vicino alle loro case e quindi ne contrastano la costruzione. In acque basse poi, le gabbie o non ci stanno fisicamente o non possono essere messe per motivi di scarso riciclo d’acqua. Un piscicoltore quindi dovrebbe collocarle molto più al largo e in zone più esposte a condizioni climatiche estreme, come gli uragani, o facilmente accessibili a grandi predatori, come squali e delfini, o semplicemente lontane da riva e quindi raggiungibili con costi di carburante maggiori.
Esistono oggi rimedi per alleviare questi disagi e permettere l’allevamento anche in acque calde e lontano dalla costa. Ci sono gabbie sommergibili che permettono al piscicoltore di abbassarle, fino a molti metri al di sotto della superficie dell’oceano, per evitare venti dannosi e onde. Ci sono reti tessute con fibre molto resistenti: sembra che la più resistente, ad oggi prodotta, sia costituita da fibre di polietilene e filo d’acciaio inossidabile. Una tale rete può resistere anche agli assalti degli squali, oltre a danneggiarsi molto meno facilmente. Maggiore resistenza significa ridurre uno dei problemi maggiori degli allevamenti intensivi: le fughe di esemplari allevati.
Un’altra soluzione che può ridurre l’impatto ambientale dell’allevamento intensivo è l’impiego di macchinari subacquei simili a idropulitrici, che possono sostituire le tossiche vernici antifouling, usate normalmente per impedire a forme di vita incrostanti di crescere sulle strutture sommerse.
Per ridurre il deposito sul fondale di sostanza organica (feci e mangimi non utilizzati), si stanno sperimentando produzioni integrate di pesci e molluschi filtratori che possano ridurne il deposito sul fondo. Sembra che l’accoppiata funzioni.
Come vedi, dove esiste la volontà di ridurre l’impatto e aumentare la qualità, si trovano anche soluzioni inedite per farlo. Prodotti ittici provenienti da realtà di questo tipo, pur essendo allevamenti intensivi, potrebbero essere ben accetti tra le ottime scelte o le buone alternative. Queste informazioni ci portano a dire che è sempre difficile generalizzare e quando accade si fanno necessariamente delle approssimazioni. Per questo è importante chiedere sempre informazioni al momento dell’acquisto.