Mare Sostenibile – Cosa mangiano i pesci allevati?

Nessuno sa cosa mangiano i pesci da allevamento. L’argomento, invece, è molto interessante.
Di Daniele Tibi

Il pesce più grande mangia quello più piccolo. Questa massima che utilizziamo in tantissime situazioni, dice il vero anche su ciò che accade in mare: i pesci più graditi ai consumatori (salmone, orata, branzino, tra gli altri) sono a loro volta mangiatori di altri pesci. Questo significa che, se vogliamo allevarli, dobbiamo rifornirli di grandi quantità di mangime, vale a dire altri pesci catturati in mare. Ad esempio, per allevare 1 kg di salmone ne servono 4-5 kg, mentre il tonno ne richiede fino a 15 per crescere di un solo chilo!

Selvatico e allevato, dunque, sono due termini in stretta relazione fra di loro e non solo per quanto riguarda l’acquacoltura. Infatti il 27% del pesce catturato nel mondo è destinato a diventare mangime per animali allevati (marini 19% e terrestri 8%). L’acquacoltura cerca continuamente di trovare alternative all’uso di pesce selvatico da trasformare in cibo per altri pesci, in modo da migliorare la sostenibilità delle produzioni. Gli sforzi applicati dai produttori virtuosi sono notevoli e fanno ben sperare per il futuro. La dipendenza dall’ambiente selvatico, inoltre, non si limita solo al rifornimento di cibo per i pesci allevati: alcuni tipi di allevamento richiedono la cattura di giovani esemplari selvatici o larve, che saranno poi messi all’ingrasso. È il caso dei falsi allevamenti di anguille e tonni, catturati giovani e poi cresciuti fino a raggiungere la taglia commerciale. Altre volte il legame con il mondo selvatico si realizza con il consumo di suolo e la distruzione di habitat (come nel caso dei gamberetti tropicali che danneggiano le foreste di Mangrovie). Come per tutte le cose si può fare meglio e tutti abbiamo il dovere di dare un contributo.

Le aziende stanno cercando di aumentare l’utilizzo di mangimi creati con scarti di lavorazione di pesci o a base di proteine vegetali, come soia, grano e cellule algali: questo è l’orizzonte verso cui tendere. L’impegno in questo senso è attivo da tempo e i risultati si sono già visti: 15-20 anni fa erano necessari 15 kg di farina per crescere 1 kg di salmone, ora ne sono sufficienti meno di 5, un domani speriamo molti meno! Mentre la ricerca e gli allevatori cercano soluzioni per essere più sostenibili, noi consumatori che possiamo fare. Consumare molluschi, pesci erbivori oppure onnivori (tinca, cefalo, coregone, trota, rombo chiodato ad esempio) è una scelta che evita o riduce di moltissimo la cattura di pesce selvatico per nutrire i pesci allevati, ed è già quindi un primo passo verso una strada sostenibile. Un altra azione concreta è quella di premiare chi lavora bene: quando si compra scegliere se possibile prodotti con garanzie di sostenibilità come Friend of the Sea o MSC.

Quando la scienza lavora per la sostenibilità la nostra salute ringrazia, e anche l’ambiente!

Stay Tuna!

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