Dorina è stata a Senigallia. Da chi? Da Mauro Uliassi. Vi diciamo solo una cosa: l’intervista è bellissima.
Di Dorina Palombi
L’idea nasce così, d’impulso, un mercoledì pomeriggio di fine settembre. Gli scrivo e gli chiedo un’intervista per raccontare le Marche attraverso le sue parole e i suoi piatti.
Circa 15 giorni dopo mi ritrovo ad iniziare la mia settimana a Senigallia, in un fresco martedì d’ottobre, quando la città si racconta per quella che è, quando la locomotiva del turismo ormai è partita per tornare solamente tra 8 mesi. Ho davanti a me una città marittima, silenziosa, pacata e discreta, con un fiume che la divide in due e il mare a guardia. Quel mare che, a mio avviso, il suo bello lo da’ adesso.
Ho appuntamento con Mauro Uliassi mercoledì, dopo il servizio del pranzo. Ho il tempo di acclimatarmi e scoprire qualcosa di più di questo luogo. Senigallia sotto il sole del giorno dopo è ancora più bella con la sua Rocca Roveresca, il Foro Annonario e le vie brillanti e con quel fascino sussurrato. Giro per la città e mi godo il quotidiano: i bimbi che giocano a calcio nelle viette trasversali, la signora che porta a passeggio il cane, le dame d’antan che chiacchierano del più e del meno. Scorgo anche l’insegnante di francese di Mauro ai tempi della scuola alberghiera. Sorrido.
Lascio il centro storico e mi avvio verso il mare, verso quella famosa Rotonda che ha in sè la bellezza malinconica della riviera degli anni Sessanta. Solitari che corrono sulla spiaggia della tarda mattinata, conchiglie abbandonate insieme a pezzetti di legno, la sabbia umida e i miei pensieri su quello che sarà un incontro tanto sognato e carico di aspettative. Mauro ha infatti due stelle Michelin e il suo ristorante è uno dei migliori in Italia, soprattutto per la cucina divertente e innovativa. Sono curiosa, sono emozionata e un po’ impaziente.
E’ l’una e, per me, ora di pranzo. Pesce ovviamente a pochi passi dal ristorante di Mauro. E bollicine ad accompagnare. Puliscono la bocca dai sapori per accoglierne di nuovi e il mio animo dalla tensione che diventa sempre più crescente. E’ ora di andare. Il sole mi scalda. Il mare mi conforta. E’ sempre mio compagno nei momenti fondamentali della mia vita. Sia di buon auspicio anche oggi.
Senza rendermene conto mi ritrovo nella sala da pranzo dell’Uliassi. Lo Chef Patron sbriga le ultime formalità poi si siede e inizia il nostro incontro. L’ansia è scomparsa. Davanti a me ho un uomo che ama il suo lavoro e cerca di dimostrarlo in ogni modo, sia il cibo, siano le parole, siano gli occhi.
Mauro, Senigallia ha due chef stellati, tu e Moreno Cedroni. Perché qui e non altrove?
Perché Senigallia è una città che permette questo. E’ un luogo di gran transito in uscita e in entrata. E’ porto turistico e in poco più di un’ora ti permette di raggiungere ben cinque regioni. E’ in mezzo alle Marche e ha un aeroporto a pochissimi minuti. Sono caratteristiche che ha solo Senigallia. San Benedetto del Tronto, Pesaro hanno collegamenti piu’ complessi e la magia non si crea.
Senigallia ha una mentalità aperta, è ben disposta al nuovo e all’evoluzione. Le cose più belle si fanno qui (il Summer Jamboree e i fuochi d’artificio più spettacolari ad esempio). E’ porta d’Oriente e quindi ha permesso a ristoranti come il mio o la Madonnina del Pescatore di Moreno Cedroni di potersi sviluppare.
E queste Marche così silenziose?
Le Marche sono state per lungo tempo sotto lo Stato della Chiesa che ha donato loro una profonda discrezione nonostante le immense ricchezze. Non hanno avuto il Rinascimento come la Toscana. Nell’animo marchigiano si è creata quindi quella discrezione silenziosa che, a oggi, porta nel nostro territorio quel turismo d’élite fatto di studiosi e artisti che non vogliono il rumore dei luoghi italiani più conosciuti ma vogliono l’arte e la bellezza da godere in privato. Per citare un bellissimo articolo di Emanuela Audisio, la nostra terra è il Lato B di un vinile. Non è quel lato A con i pezzi più conosciuti e pubblicizzati. E’ quella parte di disco che devi ascoltare più volte, quella con le perle rare e i pezzi di cui, alla fine, ti innamori.
La cucina marchigiana è una cucina semplice. Come sei arrivato a questa creatività ricordando sempre i prodotti delle Marche.
E’ più che altro un discorso collegato alla cucina italiana stessa. La nostra è una gastronomia che nasce dal cortile. Le zone marittime avevano la peculiarità del pescato che però andava preparato subito a causa della difficoltà di conservazione. La ristorazione, vista proprio come luogo di ristoro, nasce con lo sviluppo del trasporto su gomma. Nascono le trattorie, gestite dalle donne di campagna che cucinano ciò che hanno sempre preparato per gli uomini che tornavano dai campi. Sono già abituate a sfamare numerose persone e le caratteristiche gastronomiche cambiano ogni 20 chilometri. Non esiste la competizione.
Poi arriva Gualtiero Marchesi e il concetto dello Chef Patron e il senso di ristorazione si arricchisce dell’esperienza fatta dai cuochi sulle navi da crociera o nei grandi alberghi. Nascono i ristoranti degli chef professionisti. Ma la base è sempre la grande tradizione gastronomica italiana, certo, con un occhio al nuovo e all’esperienza fatta in viaggio che caratterizza ogni chef rendendolo unico.
Qual è il tuo primo ricordo legato al cibo?
In realtà ho tre ricordi e non particolarmente belli.
Il primo riguarda un vasetto di maionese sul tavolo dell’asilo, dalle suore. Certo fosse crema, intingo il dito, lo porto alla bocca e il mio cervello è sconvolto dalla diversità tra ciò che si aspettava e ciò che invece ha ricevuto.
Poi un ricordo olfattivo. Un cameriere che lavorava nella trattoria di mio nonno a Fano che, terminato di grattugiare il formaggio decide bene di stropicciarmi la faccia. Quell’odore intenso mi è rimasto impresso fino ad oggi.
E poi il ricordo degli odori a fine servizio, sempre da piccolo. Queste donne giunoniche che si ritrovano al tavolo per cenare insieme e portano una tavolozza diversa di aromi: cucina, cibo, lavoro.
L’odore quindi lo vivo nei ricordi come il tramite che pone il cibo nel tempo e nello spazio.
Per quale motivo hai iniziato a cucinare. Per i ricordi non di certo?
Per amore! Mi sono innamorato follemente, ho cucinato per il compleanno di quella che poi sarebbe diventata mia moglie, e non ho più smesso. Nonostante la scuola alberghiera, l’insegnamento e l’esperienza come cuoco e barman, solo l’amore mi ha convinto del forte legame che il cibo crea tra le persone.
E’ questo allora il senso del cucinare?
Si! E’ meraviglioso cucinare con il cuore gonfio d’amore per qualcuno. Perché poi, cucinare, è proprio questo, sia che lo si faccia per 100 persone, sia che lo faccia la nonna per il nipote. E’ un gesto d’amore.
E’ come l’amore stesso e le similitudini sono infinite. A partire dal fatto che è l’unica arte in cui tutti e cinque i sensi sono attivati e ricettivi. Tu prepari qualcosa che la gente mette dentro di se’, crei una profonda intimità tra le persone che rende la cucina un atto amoroso. E se qualcosa va storto e il risultato non è quello che ti aspetti, la delusione è la stessa di un bacio o una carezza rifiutata.
La vita stessa è fatta di questi due elementi base: il cibo e l’amore. Non hai altro che ti permette di vivere. Le altre arti sono infrastrutture ma senza questi due elementi si muore. Chi ama cucinare quindi è molto fortunato perché vive e si alimenta di questi due elementi nel suo quotidiano.
Tua moglie quindi che piatto è?
Lei è un piatto di mare. Tra quelli che ho creato, di certo è “La prima secca” perché ha quell’aroma fresco, frizzante e dannatamente femminile che ha il mare alle prime ore del mattino.
Alla fine, dalle Marche, cosa mi porto a casa?
Porti a casa la tua percezione, i tuoi ricordi. Anche a livello gastronomico, ci si porta a casa il piacere, la felicità, quell’attimo eterno, quel sapore e quell’odore.
Vedi che grande responsabilità ha un cuoco. Rendere felici le persone!
Lo ringrazio, lo fotografo e ci diamo appuntamento per la sera, a cena. Voglio trovare nei suoi piatti questo incontro. Voglio scoprire di lui quel di più che solo la sua cucina può raccontarmi.
Resto estasiata già dall’ingresso. Quel luogo intimo del primo pomeriggio si è vestito da sera. Il mare è diventato quello dei baci rubati e promessi, quello scorto dalle grandi vetrate e illuminato dalle candele sul terrazzo. Mi accoglie la sorella di Mauro, Catia. Bellissima nel suo abito, le invidio quell’eleganza rara e genetica che ogni donna dovrebbe avere. Il servizio al tavolo è condotto dal figlio di Mauro, Filippo. Gli occhietti furbi del padre e la stessa passione. Mi accompagna per mano attraverso un crescendo di emozioni che dal palato arrivano al cuore e all’anima. Mi racconta suo padre e suo padre si racconta attraverso le seppie giovani arrostite sporche e granita di ricci di mare, attraverso gli spaghetti affumicati alle vongole e datterini arrostiti.
Arriva anche la famosa “La prima secca”.
Da donna, provo un moto di invidia felice per Chantal. Ogni donna vorrebbe essere raccontata così.
In verità, di ciò che ho mangiato non voglio raccontarvi nulla. E’ un esperienza troppo intima per essere messa in piazza.
E’, in fondo, come ogni pasto.
E’ come dopo l’amore. Quello che ti lascia stropicciata e confusa ma sazia e felice.
Quell’amore che, almeno una volta nella vita, va provato abbandonandosi totalmente.