Ospiti da Vito Mollica nel suo Il Palagio

Ilaria ci prende per mano e ci accompagna a conoscere Vito Mollica, chef de Il Palagio, ristorante stellato di Firenze.
Di Ilaria Maggi

Modestia, ospitalità e passione: una chiacchierata con Vito Mollica, chef de Il Palagio, ristorante fiorentino, una stella Michelin.

“Sono dell’idea di trasmettere ai clienti quello che piace a me, quando sono seduto a un ristorante. La cosa più importante è sentirsi a proprio agio, non il mangiar bene, quello è sottinteso se vai al ristorante, non si esce con l’idea “ah, forse mangio male”.

Questa è una delle frasi che mi ha più colpito parlando di cucina (ai massimi livelli) in questo 2012 appena passato. Quando ancora il food non era entrato prepotentemente come un tarlo nella mia testa, tanto da spingermi a curiosare in ogni angolo reale e virtuale. L’incontro con Vito Mollica, chef una stella Michelin de Il Palagio, ristorante all’interno del Four Seasons Hotel di Firenze, risale alla primavera scorsa, tempi non ancora (troppo) sospetti: alla fine dell’anno uno dei piatti dello chef è stato eletto piatto dell’anno dalla Guida dei Ristoranti L’Espresso. E in effetti i suoi Cavatelli cacio e pepe con gamberi rossi marinati e calamaretti la dicevano lunga su questo chef, dalle origini lucane, spirito modesto e passione per un lavoro che lui ama definire “mestiere”.

Ti siedi al tavolo e ti senti subito a tuo agio. L’atmosfera, di un’eleganza ottocentesca quasi irreale, fa senza dubbio la sua parte, ma credo la differenza la faccia proprio lo chef, che ti accoglie e ti accompagna in questa esperienza dei sensi. “Io voglio parlare in maniera semplice con le persone. Per rendere il percorso nel gusto non un esame di università, ma un’esperienza piacevole”.

Si è guadagnato la stella dopo solo tre anni a Il Palagio, quasi un record: “La mia cucina è il percorso della mia vita. Ricordi, persone incontrate, persone attuali, ho trenta cuochi e non vengono tutti da Firenze, si parla, ci si racconta… lo scialatiello per esempio è nato da una chiacchierata con uno di loro, stavo mettendo in menù le Pappardelle allo zafferano con fagioli, vongole e gamberi crudi, lui ha cucinato questi scialatielli buonissimi, così è diventato Scialatielli partenopei con vongole. Ricordi del passato e immaginazione si mescolano.”

Quando si parla di creatività fa di nuovo capolino tutta la modestia di questo chef che sente di aver ancora tanto da imparare – pur avendo alle spalle esperienze da Adrià, Blumenthal per fare un paio di nomi: “si crea nei momenti di difficoltà. Non è che uno crea perché si siede al tavolo e si sforza su un foglio a inventare cose nuove. Quando mi accorgo che un cliente mi mette in difficoltà cerco di riflettere, esamino le celle frigorifere, gli ingredienti, allora viene fuori qualcosa di nuovo. Ad esempio, una cliente mi disse: non mangio dolci, nè zuccheri, però voglio concludere la cena con qualcosa di dolce che non sia formaggio. Le abbiamo fatto un toast di pane alla frutta, con marmellata di fragole senza zucchero, yoghurt greco e infuso alla menta. Un dolce non dolce. Questa per me è creatività. Ora la creatività dei grandi chef, dove io mi escludo, è nel fare questo e saperlo trasmettere, codificarlo e inserirlo nel menù. Questa diventa arte. Quello che faccio io credo sia buon artigianato perché ogni cosa che voglio aggiungere nel menù i ragazzi lo devono ripetere quindi creatività è una cosa, piatti studiati è un’altra e i nostri sono piatti ben studiati”.

Durante la cena, tra una portata e l’altra, eccolo comparire in sala, a controllare che tutto proceda per il meglio, a coccolare un po’ i suoi clienti, perché in fondo abbiamo bisogno anche di questo; poi il giorno dopo mi racconta: “ieri c’è stato un tavolo che ha aspettato molto tempo il secondo, io il secondo l’ho voluto rifare perché avevamo cotto troppo il pesce quindi mi sono trovato a un punto di decidere: li faccio mangiare male o aspettare, e io ho deciso di farli aspettare. Alla fine della serata, sono andato al tavolo ho spiegato quello che era successo, ma con tanta sincerità perché siamo umani e siamo pronti all’errore. A volte vai al ristorante e quello che accade non te lo spiega nessuno”.

Viva la sincerità, dote tutt’altro che scontata di questi tempi, e alla fine della chiacchierata, strizzando l’occhio al mio lavoro, mi dice una frase che è rimasta impressa a fuoco nella mia mente: “siamo in pochi fortunati a fare un lavoro in cui ogni giorno fai esperienze diverse, conosci persone, assaggi, apprendi. Ci dobbiamo sentire un po’ privilegiati.”

Il Palagio

Four Seasons Hotel Firenze

Borgo Pinti, 99

50121 Firenze

Tel. +39 055 2626 1

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