Neonila ci racconta il ristorante L’Artigliere di Davide Botta: un’esperienza armoniosa.
Di Neonila Siles
Per il lavoro che faccio (tour ed eventi enogastronomici) mi capita di continuo di rimanere affascinata dalla passione per il proprio mestiere da parte di vignaioli, chef, produttori di olio, di formaggi e via dicendo, oppure da operatori locali che con dedizione portano avanti il lavoro di promozione del proprio territorio. Queste persone mi fanno innamorare sempre di più di questo paese bello e naturalmente generoso, soprattutto in questo periodo di grandi contrasti. A volte il mio entusiasmo è tale che non posso non condividerlo con altri.

Dunque, pochi giorni fa ero in Valpolicella, un territorio felice che offre degustazioni vinicole che mi rendono altrettanto felice. Cantine storiche e quelle emergenti (queste ultime colpiscono profondamente) deliziano il palato dell’ospite con sorsi di Soave, di Ripasso, di Amarone o di Recioto, ma questo sarebbe il materiale per un altro articolo. Avendo libera solo la serata di lunedì, con grande dispiacere scopro che i ristoranti di alcuni chef da sempre nella mia lista “must try” sono purtroppo in chiusura settimanale. Tranne Davide Botta (ristorante L’Artigliere), quello famoso per il suo risotto fumé e per aver detto e ridetto che il suo piatto migliore lo deve ancora creare. Bene, un’ora di macchina dall’hotel e finalmente troviamo un posto tutto “fascino rurale” nella tradizionale campagna veronese: risaie, fiumiciattoli, cavalli sui prati verdi. D’altronde, il posto che Davide ha scelto come cornice per la sua magica cucina era un mulino ad acqua. In realtà, lo è tuttora, non è funzionante, certo, ma perfettamente integro, con un meccanismo antichissimo, unico rimasto in quella zona a scorrimento angolare, capace di raccontare a un forestiero la storia dell’eccellente riso italiano. “Quando ho visto questo posto, ho detto: è mio” – dice Davide, visibilmente orgoglioso di essere il custode e il valorizzatore di questo posto incantevole.
Se dovessi raccontarvi della cucina di Davide, spenderei tutto il mio vocabolario di lusinghe, piuttosto vi invito a passarci di persona. Le sue creazioni culinarie, come di ogni grande chef, sono equilibrate ed è la cosa che apprezzo di più. Non ci sono note che compromettono l’armonia del piatto: non solo in bocca ma anche in visiva e in olfattiva (scusate il linguaggio da sommelier). Il risotto appena affumicato con crudo di gamberi rossi, limone candito e caviale di aringa è un piatto così delicato e nel contempo così gustoso, che non posso che confermare le voci che lo vogliono sublime. Davide ci suggerisce un Soave, di cantina ignota ai più ma che ci fa scoprire le eccellenze locali a opera di un solo ragazzo, un vigneron come pochi ne sono rimasti. Davide non smette di stupirci, prima con i suoi piatti, poi raccontandoci il posto, poi ancora descrivendo le sue felici esperienze da foodie come noi: parla dei suoi colleghi con rispetto e ammirazione tali che conquista la nostra attenzione per un’ora intera. O sarebbe meglio dire che siamo noi ad averlo imprigionato nel suo ristorante a mezzanotte inoltrata? Finiamo la nostra esperienza con un Amarone generosamente offerto da Davide che, in definitiva, ci rende unanimi: “questo è un posto dove bisogna tornare”.