Elena è stata per noi alla fiera più importante sul vino: il Vinitaly. In questo articolo ci racconta le sue impressioni sui i vini che ha degustato.
Di Elena Ogliari
Non ce n’è, il Vinitaly resta sempre una gran bella fiera. Nonostante la selezione all’ingresso sempre più dura (pochi biglietti disponibili free e prezzi d’ingresso proibitivi), nonostante il maremagno che si trova, nonostante l’unico giorno aperto a tutti sia ormai solo la domenica…beh questa fiera riserva sempre sorprese. Una volta “dentro” mi sento come Alice alla ricerca del Bianconiglio. Sarà perché hai sottomano le eccellenze del nostro paese senza doverti svenare per forza, sarà perché lo stand di Agrifood riesce ad offrire sempre il miglior espresso mai assaggiato, sarà perché riesci ad assaggiare finalmente vini che, per scarsa accessibilità geografica o economica, sfuggono sempre all’elenco…o forse sarà perché ogni anno la lista di amici da andare a trovare si allunga e le nuove scoperte sono dietro l’angolo.
Ore 11.30 mi trovo davanti all’ingresso principale insieme ad una calca che nemmeno ai migliori concerti, infatti per una buona mezzora l’ingresso è a scaglioni per evitare la coda ai tornelli. Nell’attesa di entrare faccio “merenda” così da fare il famoso fondo e garantire la mia sanità per l’intero tour.
La prima visita, ormai è una tradizione, è alla Ferghettina: lo stand è sempre più affollato, ma un bicchiere di Extra Brut non me lo leva nessuno insieme ai baci e abbracci di rito. Qui è un po’ come sentirmi a casa. Assaggio anche l’ultimo nato: Eronero, la riserva di rosè Pinot Nero 100% che arriva direttamente dal 2007. Un colore rosa carico mai visto per un vino di questa tipologia, il gusto interessante e particolare, decisamente non semplice da bere ma elegante nonostante la forza che sprigiona all’assaggio.
Vaghiamo un po’ per gli stand convinti a farci guidare dai “sentori” del momento. Passando così da un noto stand faccio l’incontro che mi cambierà la giornata: un visitatore al banco d’assaggio mi prende subito in simpatia grazie alla mia curiosità e mi fa offrire gli stessi vini che sta degustando lui. La persona in questione è Antonio Maurizio Miccichè che, non vedendomi soddisfatta dei vini assaggiati (creati per il mercato statunitense) mi guida attraverso i suoi due stand e mi illustra la sua cantina, la siciliana Calatrasi.

Mi offre due bianchi diversi per farmi capire come lavora la sua azienda e stimola il mio sonnecchiante cervello da assaggiatore. Mi offre poi un bicchiere di vino bianco dal colore delicato, quasi a preannunciare l’eleganza che lo contraddistingue: Viognier 2011, un vino giovane ma dalla persistenza lunga e matura, nato da un vitigno (il Viognier appunto) poco diffuso in Sicilia ma qui sapientemente valorizzato. Come “bere” uno Chanel che non va più via.
Cambiamo ambiente e passiamo ad un piccolissimo stand interamente dedicato alle Cantine Calatrasi dove comincia una verticale tra bottiglie inaspettate e racconti di vita e di vino, confronti sul settore e opinioni personali.
Quando il produttore incontra davvero il consumatore, e soprattutto lo ascolta.
Qui assaggio il vino che sarà la mia scoperta personale di questa edizione: Selian, un vino tunisino del 2007

nato in una vallata verde e rigogliosa appena fuori Tunisi dove il clima è simile a quello della Sicilia ma i venti completamente diversi conferiscono la nota di spezie ed erbe aromatiche, una dolcezza finale in bocca che sembra pervasa da una goccia di miele. Un vino certamente non da costata ma da cous cous, un vino da Mille e Una Notte. Passiamo poi ad assaggiare l’A’Naca, un Nero d’Avola finalmente complesso che racconta di fiori e frutti rossi e maturi, interessante il 2008 ancora più del fratello più giovane, nato dai mari e dai monti con il suo 95% di Nero d’Avola proveniente dalle coste e il Syrah e Cabernet a completamento provenienti dalle montagne. Quasi 15 gradi e non sentirli.
Chiudiamo infine con uno dei miei preferiti: il Primitivo Zambro, un po’ selvaggio come solo il Primitivo sa essere, quasi selvatico anche nei sentori.
Chiudiamo la visita con saluti e ringraziamenti, sia per aver assaggiato dei vini davvero di alto livello, sia per aver incontrato persone interessanti, competenti ed educate che mi hanno fatto venire voglia di suggerire subito questa azienda.
Spezziamo la visita con un giro al padiglione Agrifood, sede delle eccellenze alimentari italiane e dei migliori olii extravergine d’oliva. Due chicche: i Nettari Sottobosco Paoli (incredibile, si trovano all’Esselunga), un bicchiere di pura frutta come mai l’ho assaggiata; e il Mieleaceto, un’antica ricetta di famiglia a base di aceto balsamico e miele dell’Apicoltura Gianni Castellari in provincia di Modena.
Passiamo poi alla toscana dove mi fermo allo stand del Consorzio Tutela Montecucco, un vino già noto e molto apprezzato tipico dell’entroterra del Grossetano e del Monte Amiata. Pariamo con un Ceneo Begnardi, Sangiovese in purezza 2011 giovane ma già con un buon corpo e persistenza, espressione piena della Toscana in 14 gradi.
La dolcezza e i polifenoli permettono all’alcool di non essere invadente e alla bocca di concentrarsi sulle note di frutta.
L’ultima visita tocca ad un amico, Fabrizio, che ogni anno stupisce per la sua crescita e per la passione che, insieme al suo compagno di avventura Pierpaolo, mette nella produzione di vino e birra. Frank & Serafico colpisce per lo stand giovane e dinamico, per i graffiti alle pareti come schizzi a gesso su una lavagna che riprendono vecchie foto, tappi, etichette, produzioni e sentimenti. I bancali al posto dei tavoli rendono ancora più originale uno stand che è impossibile non notare, quasi a dire che la sostanza qui vale più dell’apparenza.

L’affluenza è forte e costante, e fa solo che piacere, anche perché la produzione riguarda anche la birra artigianale. Le etichette sono ironiche e immediatamente riconoscibili, nota importante in un settore vasto e omologato come quello vinicolo.

Il Vermentino è a casa, pronto da bere, il Morellino invece è già andato, uno dei migliori sicuramente che abbia mai assaggiato. Non a caso è il “core business” dell’azienda. Assaggio allora il Serafico ottenuto da uve Vermentino surmature provenienti da una vigna di oltre trent’anni. Il colore dorato, caldo, rivela note aromatiche, sapidità ed equilibrio per un bianco da 14 gradi. Chiudiamo poi con il Frank: Cabernet Frank in maggioranza unito a Sauvignon e Merlot, taglio bordolese facile da bere ma adatto all’invecchiamento, trattato con una particolare fermentazione in botti aperte che permette al legno di non essere troppo invasivo. Come si dice, “nel nome del vino”.
E con questo chiudiamo anche quest’anno il mio Vinitaly, senza pretese di sorta o giudizi altezzosi, solo un vinovagando per l’Italia alla ricerca di quello che mi piace o mi piacerebbe, che per me è sempre il miglior modo di scegliere.